Recensione dello spettacolo ‘Mobidic’ in scena al Teatro Vittoria dall’8 al 18 novembre 2018
Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dal titolo: questo ‘Mobidic’, firmato dall’autore italo-tedesco americano Karl Weigel, non è nato per essere un nuovo adattamento del più noto testo di Melville né tantomeno una sua rivisitazione, ma piuttosto, come lo stesso autore lo ha definito, una sorta di ‘contagio letterario’ poiché nel testo riaffiorano a tratti delle citazioni a Moby Dick che creano un originale quanto efficace parallelismo tra le due opere. Il rimando a Melville, infatti, diventa per Weigel un’efficace metafora per cui l’attore protagonista considera il palcoscenico come una nave, mentre gli attori sono i suoi marinai, sempre pronti a fronteggiare le difficoltà del mare ovvero della vita, proprio come fa lui.
Mobidic si presenta al pubblico come un testo realistico e genuino dalla prosa elegante e dai toni un po’ noir, che vuole rispecchiare quel mal d’essere vissuto oggi da un genere umano che sembra andare sempre più alla deriva, che si perde correndo dietro a dei miraggi che non permettono di distinguere la realtà dall’illusione. Proprio dalla realtà sembra fuggire il protagonista dello spettacolo, il Professore, magistralmente interpretato da Massimo De Rossi che domina la scena donando al suo personaggio ora forza ora dolcezza ora speranza. De Rossi, infatti, si contraddistingue subito agli occhi del pubblico e la sua esperienza è talmente evidente sul palco da rendere ardua l’impresa di tenergli testa alla giovane Roberta Anna ma non troppo: la brava attrice, anche se con qualche evidente difficoltà in alcuni punti, riesce ad essere all’altezza del suo compagno tanto da rendere spumeggiante, vivace e divertente ogni scambio di battuta tra il Professore e la cassiera del teatro.
La vicenda prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto a Milano qualche anno fa: un affermato manager è vittima di un’amnesia dissociativa che non gli permette di ricordare niente del suo passato né del suo presente, nemmeno il suo nome. Ricercato dalla polizia per aver creato il panico tra la gente e aver aperto il fuoco su due agenti della polizia, il Professore si rifugia all’interno di un Café Theater all’americana dove incontra colei che gli terrà compagnia fino alle prime luci dell’alba.
Tra i due personaggi non si instaura proprio un buon rapporto fin dall’inizio: solo man mano che la storia si snoda e prendono corpo i rispettivi caratteri, il pubblico scopre ben presto che i due protagonisti sono in realtà molto simili, e il feeling che si instaura permette loro di trascorrere un’insolita ma piacevole notte. Tra racconti, balli, reminiscenze del passato, incertezze e delusioni, vengono sempre più rivelate le aspirazioni e gli intenti dei due personaggi: da una parte quelle di una ragazza giovane che si sente impossibilitata dal mondo di oggi a realizzare i propri sogni, dall’altra quelle di un uomo adulto con una probabile brillante carriera alle spalle, che sembra voler voltare le spalle a tutto e a tutti perché stanco di fare l’attore anche nella vita reale.
Circondati dalla scenografia di Gianluca Amodio che ha ricreato un’atmosfera un po’ onirica in cui entrambi gli attori danno prova di muoversi agilmente, e forse non a caso, il dramma avanza fino alla sua conclusione che arriva a sorpresa così spiazzante tanto da sembrare ingiusta e senza speranza proprio come il finale dell’altro Moby Dick. Il pubblico trascorre circa novanta minuti in una dimensione altra, in cui tra illusione e realtà si cimentano due anime combattute che sembrano destinate a soccombere schiacciate dalla forza ingombrante del mondo fuori dal Café Theater.
Lo spettacolo è una produzione di Fondamenta Teatro e Teatri di Francesco del Monaco e Cristiano Piscitelli, con la Direzione artistica di Giancarlo Sammartano e la Direzione organizzativa di Fulvio Ardone.
Diana Della Mura
13 novembre 2018