Giovedì, 10 Ottobre 2024
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EN ATTENDANT BECKETT: Era profondo, profondo. E si vedeva il fondo. Così bianco. Così limpido

Recensione dello spettacolo En Attendant Beckett in scena al Teatro Belli dall’8 all’11 novembre 2018 - TREND nuove frontiere della scena britannica

 

Glauco Mauri e Roberto Sturno collaborano dal 1981, anno in cui fondano la compagnia Mauri-Sturno. La produzione vanta numerose rielaborazioni di opere classiche e contemporanee. Nel 2001 con il progetto Da Krapp a Senza parole intraprendono un viaggio che culmina, successivamente, nella stagione 2017/18 con En attendant Beckett. 

Un progetto, questo su Beckett, che ancor prima nel 1961, Glauco Mauri realizza portando in scena, per primo in Italia, L’ultimo nastro di Krapp e Atto senza parole (1962). 

Senza dubbio, è uno spettacolo di nicchia per un pubblico consapevole, ma la sala, tuttavia, è gremita.

En Attendant Beckett è un percorso multimediale (in collaborazione con Andrea Barocco), un accurato montaggio di opere e documenti che tracciano la connessione sottilissima tra l’opera e l’uomo, componente imprescindibile per esplorare l’autore. 

La scena si apre con Prologo, uno sguardo più intimo, costruito con sequenze video e citazioni sulla vita e sul teatro di Beckett, che precede gli atti unici e le opere.

In Parole e Musica, l’atto radiofonico, i due protagonisti Parole (Roberto Sturno) e Musica (Giacomo Vezzani, che esegue musiche dal vivo) hanno un’accesa diatriba. Parole vorrebbe comporre un poema senza seguire i suggerimenti di Musica, voluto fortemente dal vecchio poeta Croak (Glauco Mauri), che alla fine lascia la scena avvilito dall’incapacità dei due nel comporre il poema in armonia.

Nelle opere di Beckett la messinscena è rarefatta, la destrutturazione del linguaggio è intrinseca nella sua scrittura. La parola, intesa come strumento di comunicazione della realtà, è svalutata, assume una valenza sonora. Ciò non determina, necessariamente, una perdita sul piano della funzione segnica, ma, al contrario, ne sublima l’efficacia, conferendo alla parola stessa un’essenza fonetica e intellettuale. 

Passando, poi, per Molloy, Mauri delizia lo spettatore con la lettura di un passo tratto dal romanzo e di alcune poesie. 

Mauri e Sturno, che possiedono una conoscenza profonda dell’autore, costruiscono una partitura calibrata e ritmica congiungendo le diverse opere, e queste ultime, a loro volta, ognuna nella propria complessità, sono il risultato di una combinazione estrema di mimica, sonorità e precise didascalie.

In Atto senza parole (interpretato da Sturno), un uomo, solo nel deserto, è vittima di un fischietto (fuori scena) che esorta le sue azioni. Il protagonista muto vuole raggiungere una caraffa d’acqua che cala dall’alto. I cubi, calati insieme alla brocca, non sono d’aiuto nel tentativo di afferrare la tanto agognata brocca. L’acqua è sempre più lontana. È vano anche il tentativo di suicidio. Infine, l’uomo avvilito, rinuncia all’agognata conquista, nonostante, l’acqua, improvvisamente, sia raggiungibile.

È una drammaturgia che ha in sé l’architettura registica. Le didascalie di Beckett sono imprescindibili ai fini della performance, e sostanziale è la fedeltà con cui Mauri e Sturno le eseguono. I dettagli presenti nel testo relativi ai costumi, alle scenografie, alla mimica sono elementi indissolubilmente legati tra loro. Sturno è impeccabile, incarna perfettamente la desolazione del fallimento, elemento peculiare della poetica di Beckett. È netto il confine tra luce (il sole nel deserto è un faro bianco, freddo e accecante) e il buio dell’ineluttabile castigo esistenziale. 

Beckett vuole evocare, piuttosto che un’immagine, un sentimento rigorosamente non filtrato.

Talvolta anche esacerbando il tutto, fino alla noia, ostentando ridondanza e pantomima.

È il caso di L’ultimo nastro di krapp (Glauco Mauri). L’uomo, ormai vecchio, ha l’abitudine di riascoltare le bobine registrate in gioventù. Krapp, giunto alla conclusione della sua vita, si accinge all’ultima registrazione. Krapp dialoga con sé stesso, la registrazione parte con voce forte, piuttosto solenne evidentemente la voce dello stesso Krapp a un'epoca molto anteriore (Mauri usa i nastri della messinscena del ’61 registrati trent’anni prima). È seduto alla sua vecchia scrivania, solo una luce incombe su di lui lasciando il resto nella totale oscurità.  Al limite dell’entrata clownesca (Camicia bianca, sudicia...Un paio di stupefacenti stivaletti bianchi, molto sporchi, strettissimi e appuntiti, d'una misura spropositata, almeno 48. Faccia bianca. Naso paonazzo. Capelli grigi in disordine) Krapp incarna il rimpianto, oltre che il fallimento e la desolazione. I gesti ripetuti (mangiare la banana, aprire i cassetti, camminare avanti e indietro) sono il simbolo di una prigione esistenziale dai contorni grotteschi, in cui il tempo è immobile su sé stesso, definiscono il vuoto inesorabile. Benché i personaggi di Beckett cerchino, invano, di riemergere dal pantano dell’esistenza, sono tutti destinati al tragico epilogo. Svanisce il rimpianto e si espande il silenzio: Dopo mezzanotte. Mai sentito tanto silenzio. La terra potrebbe essere disabitata. [...] Forse i miei anni migliori sono finiti. Quando la felicità era forse ancora possibile. Ma non li rivorrei Indietro. Non col fuoco che sento in me ora. No, non li rivorrei indietro.

Krapp immobile guarda fisso davanti a sé. Il nastro continua a girare in silenzio.

 

 

Caterina Matera 

11 novembre 2018

 

Informazioni 

EN ATTENDANT BECKETT

Prologo

Samuel Beckett

Atto senza parole

L’ultimo nastro di Krapp

un percorso multimediale ideato da Glauco Mauri e Roberto Sturno

con la collaborazione di Andrea Baracco

musiche originali di Giacomo Vezzani

produzione Compagnia Mauri Sturno

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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