Recensione dello spettacolo Ivan and the dogs andato in scena al Teatro Belli dal 29 ottobre al 1° novembre 2018
Ancora una volta TREND, nuove frontiere della scena britannica. Ancora una volta una storia vera. Ancora una volta un testo denso e prezioso. Hattie Naylor è una drammaturga inglese di rilievo internazionale, con Ivan and the dogs vincitrice di un Tinniswood Award.
La sceneggiatura è ispirata alla storia di Ivan Mishukov, un bambino che ha trascorso due anni vivendo nelle strade di Mosca insieme ad un branco di cani selvatici. Nel ‘98 fu catturato dalla polizia e portato in orfanotrofio, infine venne adottato.
È un ragazzino di undici anni a rievocare la Russia post-sovietica di Eltsin attraverso il suo sguardo innocente. Così. Tutto il denaro era finito. Così Madri e Padri hanno cercato le cose di cui potevano sbarazzarsi. I cani sono andati per primi. Li hanno portati dall'altro lato della città e li hanno lasciati lì. Ma ancora non c'erano soldi e i bambini sono stati portati dall’altro lato della città e lasciati lì.
Il ghiaccio si è appena sciolto. Ivan all’età di quattro anni, prima di morire per mano del patrigno violento e alcolizzato che vuole sbarazzarsi di lui, decide di lasciare casa. Indossa il cappotto più pesante, mette in tasca un po’ di cibo, la cosa più preziosa che possiede - una foto di Miss Russia - ed esce per le strade di Mosca.
La scena è povera. Un telo bianco palesa la distesa di ghiaccio. È l’effigie di gelo esistenziale di Ivan, della sua gente, di una deriva socioeconomica arida e corrotta.
Del resto, nient’altro è necessario in scena. La regia di Massimiliano Farau è un dono per lo spettatore.
Le luci nette e pure scandiscono il succedersi di giorno e notte, filtrano penetranti gli stati emotivi del protagonista, intensificando questa minuziosa narrazione dal ritmo battente. È un turbinio di trepidazione e inquietudine.
Voci fuori campo riecheggiano. Irrompono i ricordi, aspri e vividi. L’eco di dialoghi in russo, le urla, l’abbaiare dei cani, il motivo di un carillon restituiscono atmosfere autentiche.
Ivan, un eccezionale Lorenzo Lavia, ci parla dell’amore per i suoi cani con l’incontaminato impeto della sua età. Io non voglio essere di nuovo umano. Ti dico che tutti gli umani mentono. Ti dico che i cani non mentono. I cani adesso sono la sua famiglia, quella che non ha mai avuto. Belka mi lecca e sospira. So che mi ama e la amo. Ora sono un cane.
L’interpretazione di Lavia è densa. Ogni sospiro, ogni pausa genera un impulso emotivo sottilissimo. La performance è intimamente legata al ritmo di questa splendida sceneggiatura. Si evince una scrupolosa rielaborazione del testo.
Le figure retoriche di ripetizione sono in perfetta coesione con la nevrotica gestualità.
Un monologo privo di sentimentalismo, ma implacabile. Il dolore è palpabile, mai esacerbato. Persino la morte è interiorizzata: Due persone sono morte ...C'erano le pistole e poi silenzio. È quando Dio conta. 'Uno due.
È una vivida sinergia quella tra Farau e Lavia che, con dovizia d’abilità tecnica, evocano un moto immaginifico nello spettatore. Un difficile monologo in termini di resa e durata, ben oltre l’ora, eppure il pubblico è rapito.
Ivan and the dog è un lavoro meticoloso. Tutti gli elementi, accuratamente misurati, coesistono in perfetta simmetria. Lo spettatore non può che sentirsi parte integrante e viva. Una messinscena totale.
Ivan and the dogs propaga un fremito irripetibile, che solo una performance brillantemente elaborata può consacrare.
Caterina Matera
2 novembre 2018
Informazioni
Ivan and the dogs
Prima Nazionale
traduzione Monica Capuani
regia Massimiliano Farau
con Lorenzo Lavia
costumi Andrea Viotti
scene Gianluca Amodio
regista assistente Marco Mingolla
assistente alla regia Rosaria Sfragara
luci Francesco Traverso
voci fuori campo Pavel Zelinskiy, Anastasia Doaga
produzione La Compagnia dei Masnadieri
uno spettacolo a cura di Garage Zeami