Recensione dello spettacolo La Gabbia di carne andato in scena al TeatroSophia dal 26 al 28 ottobre 2018
La Gabbia di carne ha partecipato al Roma Fringe festival nel 2014 ed è andato in scena nel 2016 al Teatro Manhattan, riscuotendo un discreto successo.
Questa è la storia, basata su fatti realmente accaduti, di una ragazza che ricorre alla mastoplastica riduttiva - su suggerimento di una coetanea - per migliorare il proprio aspetto. A causa di sfortunati incontri e scellerata chirurgia, la protagonista è vittima di una serie di operazioni mal riuscite, che daranno inizio ad un inferno senza fine.
L’intento dell’autore è sottolineare come la problematica ossessivo-compulsiva dei pazienti venga sottovalutata, evidenziando l’aspetto meramente economico ed estetico. In realtà, molto spesso avviene che il soggetto sottoposto a chirurgia plastica non riesca a risolvere i propri disagi. Il corpo è istantaneamente modificabile rispetto alla mente. La chirurgia plastica assume una connotazione chiaramente negativa. La protagonista incarna la collettività soggiogata all’aspetto esteriore, vittima di una malsana cultura del corpo, stretta nella morsa del rifiuto di sé.
Senza dubbio, il tema è interessante e fortemente attuale. Bisogna dare il merito all’autore e regista, Luca Gaeta, di aver messo in scena uno spettacolo che vuole stimolare un confronto socio-psicologico urgente e profondo. La drammaturgia risulta, tuttavia, sovrabbondante. Il testo è esasperato, non lascia spazio al “non detto”. L’operazione di ridondanza, presumibilmente voluta, è tangibile sia nella scenografia che nella performance.
L’attrice, Valentina Ghetti, resta fortemente legata ad un’interpretazione cinematografica, quasi fosse agita dall’opera e non il contrario. La comunicazione empatica viene meno, si lascia maggior spazio alla dimensione linguistica e intellettuale. La performance non sollecita lo spettatore, non agisce su di esso. Viene meno ciò che Artaud definirebbe “una certa emozione psicologica in cui saranno messi a nudo gli impulsi più segreti del cuore”.
In merito al codice prossemico e cinesico-gestuale vi è uno slancio d’audacia. L’interazione è diretta con il pubblico e concreta con gli elementi scenografici, come il bisturi. La riproduzione della sala operatoria è ben riuscita. I pannelli bianchi, su cui scorrono proiezioni e dipinti, divengono altresì oggetto d’interazione. L’attrice li lacera come fossero carne. Le luci sono statiche, quasi sempre invariate, a sottolineare quell’effetto di ridondanza scenica. Le interessanti sonorizzazioni elettroniche sono in perfetta armonia con la messinscena e la buona vocalità della Ghetti.
Resta sicuramente una lieve amarezza nello spettatore. Lo spazio destinato alle sedute è molto ridotto. La visione è spesso difficoltosa, considerando i ripetuti momenti fissi, in cui l’attrice è bloccata sulla scena, ancorata ad un lettino chirurgico.
Pur sostenendo con amore le piccole realtà, come il Teatrosophia, in questa messinscena, lo spettatore non può fare a meno di sentirsi messo un po’ da parte. Indugia un pensiero, che fa sorridere se pensiamo al tema dello spettacolo. Forse, sarebbe stato opportuno puntare maggiormente sul processo di fruizione, condizione imprescindibile dell’atto teatrale, piuttosto che curare con fine estetica il foyer, estremamente bello ed accogliente.
Caterina Matera
29 ottobre 2018
Informazioni
La gabbia di carne
Scritto e diretto da Luca Gaeta
con Valentina Ghetti
sonorizzazioni Samuele Cestola
disegni Mirco Marcacci
video Virginio Fabiani/Bruno Albi Marini