Recensione dello spettacolo “I Miserabili”, in scena al Teatro Quirino dal 23 Ottobre al 4 Novembre 2018
I grandi pannelli rettangolari della scenografia, all’inizio raccolti come pagine di un gigantesco libro, si muovono incessantemente sul palcoscenico del Teatro Quirino, dividendone lo spazio secondo geometrie sempre nuove. Il frenetico lavorio degli attori, chiamati nei cambi di scena alla loro movimentazione, dà una immagine rispondente di questo allestimento de I miserabili.
Cosa si potrebbe dire di uno spettacolo in cui ogni aspetto tecnico è curato e si compie nella migliore espressione possibile?
Dopo aver ammirato la sontuosa recitazione di tutti gli interpreti, l’elegante scenografia di Domenico Franchi, così funzionale, come detto, alla messa in scena, la meticolosa cura nei costumi disegnati da Andrea Viotti, il suggestivo commento musicale di Antonio Di Pofi, perché, uscendo in strada, qualcosa di inesprimibile non si ritrova? Il pensiero è andato a quel continuo scorrere delle scene, a quelle pagine aperte e subito chiuse e ad una immaginata fatica nel compiere quell’operazione.
Concentrare in uno spettacolo della durata comunque di 3 ore l'universo contenuto nel romanzo di Victor Hugo è impresa senz'altro titanica. La vastità delle tematiche in esso contenute, la profondità nello sviluppo dei personaggi, l’intrinseca complessità delle vicende che si intersecano nell’intreccio formano un mare in cui sarebbe naturale perdere l’orientamento. Nel suo adattamento Luca Doninelli trova comunque una quadra e stende un testo fedele e dotato di fluida coerenza. Presentato il protagonista, uomo buono e galeotto, vittima e colpevole, sceglie come capo del suo filo narrativo l'inizio del percorso di formazione di Jean Valjean, segnato dal regalo con cui il vescovo di Digne assicura la sua anima al Bene. L’autore assembla poi con cura il suo materiale: seleziona oculatamente gli episodi che possano descrivere compiutamente la complessa vicenda; percorre con precisione delle tracce tematiche, come la condanna ineluttabilmente pendente sul capo del protagonista, simboleggiata dal suo stesso nome, nascosto e sempre svelato; cerca di dar enfasi ad argomenti che trovano eco nell’attualità, come il destino senza speranza degli ultimi; non dimentica di dare echi dello sfondo storico, che nel romanzo trova ampio spazio.
Ma il risultato è, forse inevitabilmente, una carrellata di scene che, grazie al meticoloso lavoro di regia di Franco Però, riporta fedelmente sul palcoscenico la pagina scritta, ma finisce per mancare di una vera e propria struttura teatrale. La gigantesca, antitetica, simbologia materializzata nei personaggi di Jean Valjean e di Javert, le dolorose vicende di Fantine o di Eponine, l’abisso morale dei Thénardier sono presentati in una frenetica sequenza e si succedono senza un climax che conduca lo spettatore, pur compiaciuto, ad una piena partecipazione emotiva.
Ciò che la scrittura non può o non riesce a fare, diventa possibile grazie all’imprevedibilità del talento. Sono allora due interpretazioni, diverse nel registro, ma comparabili nella potenza a dare quel colpo che lo stomaco attende impaziente durante tutta la durata della rappresentazione. Innanzitutto la straordinaria performance di Francesco Migliaccio, capace di conferire tutto il necessario spessore tragico alla figura di Javert, ma soprattutto a trasferire sul pubblico il dolore insito nell’ossessione che accompagna e segna il suo destino. Agisce su corde diverse Valentina Violo. La calorosa passionalità di Eponine, di cui l’attrice si imbeve, grazie a lei emerge (e in maniera ancor più vivida, di fronte all’impalpabile candore della Cosetta di Romina Colbasso) in ogni sua accezione, dalla sottesa sensualità con cui tenta di sedurre il suo Marius, alla invincibile devozione di un amore infelice. Resta comunque doveroso l’omaggio a Franco Branciaroli, divo (e talora pavone), che utilizza magistralmente i virtuosismi della voce per innalzare repentinamente il tono di una recitazione quanto mai sobria.
I miserabili è un prodotto perfettamente confezionato, che soddisferà a pieno gli amanti del teatro tradizionale e della grande letteratura, qui magnificamente omaggiata. Ma, può capitare, c’è chi dal teatro vuole essere preso per i capelli, percosso, stordito. E da tanta levigata perfezione alla fine, non gli se ne voglia, viene annoiato.
Valter Chiappa
26 Ottobre 2018