Recensione dello spettacolo Jordan andato in scena al Teatro Belli dal 20 al 21 ottobre 2018
Nell’ambito della rassegna TREND, nuove frontiere della scena britannica a cura di Rodolfo Di Giammarco, va in scena Jordan, in prima nazionale. L’opera è vincitrice di un Time Out Award e un Writers’ Guild Award. Una delle autrici, Anna Reynolds, all’età di 17 anni, uccise la madre con un martello. Dopo due anni di prigione, venne trasferita nell’istituto di igiene mentale a Northampton, con la prognosi di squilibrio ormonale. Non è un caso scoprire un testo intenso e autentico, ispirato ad una storia vera.
Shirley è una giovane donna reclusa in carcere in attesa di un verdetto, accusata di infanticidio. La scena si apre con un’esile figura raccolta attorno ad un coniglio bianco. È buio, una voce stridente inizia a narrare Tremotino, la fiaba di origine tedesca rielaborata dai Fratelli Grimm. Immediato è il cambio di registro. Le luci mutano, la voce muta, la piccola figura diviene Shirley. Prende posto su una sedia e inizia a raccontare. La stanza è spoglia. Shirley trasandata, quasi rassegnata a quella sedia, simbolo dell’ultimo spiraglio di lucidità. Parla ad un’entità di nome Jordan. Chi è Jordan?
L’intuizione è viva. Le ipotesi diverse. Shirley si inoltra nei ricordi, lo sguardo di sua madre livido, un mazzo di fiori gialli intrisi di brutalità, l’ebrezza di una fugace felicità. Marchiata da un’infanzia ambigua e violenta, vede uno spiraglio di libertà nella fuga col più maturo e affascinante Davie. L’uomo e la sua folta chioma corvino, porteranno Shirley via dalla distorta e insana quotidianità familiare, per confinarla in un luogo sospeso tra illusione e incoscienza. Poi, quel figlio inaspettato, d’un colpo, ribalterà tutto. Ed eccolo, è lui Jordan, fragile involto di quell’indecifrabile amore. È il principio del calvario. In un attimo i demoni prendono forma. La realtà è trasfigurata in alienato incanto.
Un monologo intenso, privo di autocommiserazione, è la sfida di Federica Rosellini. L’attrice, forse troppo giovane per un ruolo tanto delicato, sostiene bene questo difficile personaggio. Restituisce vigorosamente questa donna scomposta, dal linguaggio triviale e compulsivo, alternando in maniera efficace la variazione macabro/fiabesca del coniglio bianco. Difficile, tuttavia, rendere un sentimento tanto incomprensibile e oscuro di una madre che uccide il proprio bambino. In opposizione alla seduta di Shirley, vi è il secondo elemento scenografico il coniglio bianco. Potrebbe essere riduttivo trovare, esclusivamente, un rimando a Lewis Carroll e la sua Alice nel paese delle meraviglie. Il coniglio identifica la dimensione onirica di una ragazza che diviene donna e fa i conti con la difficile maternità. Rappresenta un evento inaspettato, che porta alla comprensione di una realtà che scardina le convinzioni della protagonista. Potremmo scorgere nel coniglio bianco un emblema di fertilità e rinascita, nonostante assuma i tratti di un presagio funesto. Enfatizzato da giochi di luci cupe e registri musicali staffilanti e metallici, tributa la morte come atto di assoluzione. È graduale la costruzione della dualità della protagonista. Raggiunge il culmine. E all’apice dello spettacolo, una danza spasmodica fonde il dualismo. Libera Shirley e scioglie il conflitto. L’attrice concretizza con puntualità e ottima presenza scenica i frequenti cambi di registro. L’interpretazione è centrata, ben amalgamata alla regia, curata da Francesca Manieri e dalla stessa Rosellini.
Caterina Matera
23 ottobre 2018
informazioni
Teatro Belli
Jordan
con Federica Rosellini
disegno luci Maria de Los Angeles Parrinello
assistenza alla regia Elvira Berarducci
regia Francesca Manieri e Federica Rosellini
traduzione Elisa Casadei