Recensione di Segreti e cipolle in un condominio a Piazza Vittorio al Teatro de’ Servi dal 19 ottobre al 4 novembre 2018
Teatro de’ Servi, calano le luci ma lo spettacolo non inizia sul palcoscenico ma dall’incontro di un uomo e di una donna tra il pubblico. Si evince dal loro dialogo che siano amici e che hanno avuto una storia d’amore in gioventù, lui fa sfoggio della sua posizione economica e tenta ripetutamente un approccio sentimentale a cui lei si sottrae perché sposata con un caro amico di lui e perché ha fretta di andare dal medico. La scena successiva si presenta in una cucina dietro al sipario, in cui tre uomini stanno giocando a carte: Cesare, il lui di prima, poi Umberto, il marito della donna, che scopriremo si chiama Marisa e un terzo amico. La situazione inizia a delinearsi più chiaramente, Umberto ha perso il lavoro, Cesare, il suo amico poco fine ed elegante innamorato da sempre di Marisa ma ricco può dargli la possibilità di lavorare e l’altro amico è un ex attore che ora sbarca il lunario facendo il dog-sitter.
Tutto avviene in un condominio della centralissima e multietnica piazza Vittorio Emanuele in cui gli altri condomini vengono perlopiù da altri Stati e sono soprattutto asiatici. E qui, Monica Lugini, la regista che è allo stesso tempo autrice insieme a Paolo Pioppini (Umberto) e interprete di Marisa, ci immerge in uno spaccato di vita contemporanea riproponendoci l’intolleranza fatta di pregiudizi, fastidi, aggressività gratuita verso i condomini stranieri manifestati da Marisa, dal rozzo arricchito e a tratti anche dall’amico dog-sitter. La rappresentazione, in questi passaggi è talmente realistica che ci sembra di ascoltare i discorsi che spesso avvengono sui mezzi pubblici, nei locali pubblici o per strada, fatti di luoghi comuni e preconcetti espressi verso i cittadini immigrati. Ad essere attaccata è soprattutto “la puzza di cipolla”, caratteristica della cucina di alcuni paesi asiatici, che diventa il simbolo e il leit motive di questo atteggiamento. A questo tipo di intolleranza si aggiunge l’omofobia verso Leandro detto Lea, il parrucchiere gay di Marisa ma alla fine si scoprirà che proprio uno di loro ha una relazione segreta con Lea.
Complicati intrecci sentimentali e svariati temi interessanti sono alla base della narrazione. Il matrimonio tra Marisa e Umberto entra in crisi quando lui perde il lavoro e non può più garantire alla moglie il tenore di vita elevato a cui era abituata. Marisa inizia a sentirsi frustrata e a provare un profondo malessere per questa condizione e ad un’attenta analisi appare chiaro che rivolga la sua rabbia verso gli stranieri presenti nel suo quartiere di cui le dà fastidio non solo la puzza di cipolla, non solo il loro stile di vita, ma che possano in qualche permettersi qualcosa in più di lei. Ha cercato rifugio nel tradimento, mai poi alla fine la resa dei conti con il marito è arrivata ed entrambi si sono trovati di fronte ai segreti covati da entrambi. Solo da qui può ripartire la loro relazione.
In primo piano le problematiche sociali e l’indagine sulla nostra contemporaneità: la disperazione per la perdita del lavoro e il conseguente impoverimento, la mancata integrazione dei cittadini stranieri nel nostro Paese, tipica della mentalità di alcune frange sociali e rinforzata dai messaggi della politica, l’intolleranza verso gusti sessuali non canonici. Emerge un quadro storico-sociale dell’Italia attuale che fa fatica a sganciarsi da preconcetti e pregiudizi verso ciò che si scosta dall’ordinarietà. Solo il personaggio dell’amica prostituta di Umberto e Marisa, generosa e altruista, amante delle gioie della vita si scosta da questo quadro e aggiunge un elemento di rottura con la rappresentazione. Ma dietro tutto questo, a guidare ogni movimento, ogni azione, ogni decisione, l’inafferrabile Amore, declinato in tutte le sue possibilità: l’amore coniugale, l’amore per l’amante, l’amore per lo stesso sesso, l’amore rifiutato, l’amore per la vita della prostituta. Serpeggia anche un romanticismo non subito evidente allo spettatore.
Il pubblico in sala si mostra divertito e partecipe soprattutto per la scelta di condurre la narrazione con ironia per cui l’impostazione nel dialetto romanesco si rivela proficua per il divertimento in sala. Tuttavia, una criticità ci appare in una eccessiva caratterizzazione dei personaggi che rischia, in alcuni casi, di risolversi in una stereotipia dei vari tipi umani come nel caso di Cesare, il rozzo arricchito, di Marisa, la moglie che senza i soldi smette di amare il marito, di Lea, il parrucchiere gay. In alcuni momenti, le vicende perdono credibilità per l’eccessivo ricorso al dialetto e per battute e dialoghi prevedibili.
Mena Zarrelli
21 ottobre 2018