Recensione dello spettacolo Leonardo in scena al Teatro Olimpico dal 10 al 14 ottobre 2018
Dopo l’enorme successo di pubblico del 2015 con lo spettacolo su Caravaggio, e nella passata stagione con quello su Michelangelo, il politico, opinionista e critico d’arte Vittorio Sgarbi, ritorna in scena parlandoci di Leonardo, scritto e diretto da lui stesso. Con questi appuntamenti, il Teatro si sta aprendo alla storia dell’arte, con un’operazione sperimentale e rivoluzionaria, in cui un critico d’arte, nel nostro caso dello spessore di Sgarbi, illustra con delle lectio magistralis alcuni dei più grandi geni della creazione artistica di tutti i secoli.
“Dio crea l’uomo ma anche l’uomo contiene una porzione di Dio perché con il suo manipolare la materia crea l’opera d’arte che rende più bello il mondo”. Con questo incipit Sgarbi ci introduce nel tenore e nella solennità della serata: linguaggio asciutto, puntuale e uno stile personale depauperato dagli eccessi “televisivi”, con qualche cedimento sporadico ad un linguaggio colorito. L’intenzione è quella di raggiungere, toccare e far vibrare il pubblico con il desiderio di raccontare ed insegnare davvero qualcosa di appassionante. E così al pari di quella vernice che compenetra l’intonaco ancora prima che questo si asciughi e diventi affresco, così gli spettatori accolgono la lectio di Sgarbi che racconta il genio di Leonardo a partire dai suoi limiti artistici dove la perfezione dell’ opera immaginata viene tradita da una mano incapace di tradurre fedelmente l’immagine mentale. Ma il potere dell’ opera di Leonardo risiede proprio, al pari di un’ immagine primordiale, nel rimanere indelebile nell’immaginario collettivo: per tale ragione noi tutti conosciamo bene la Gioconda ma abbiamo difficoltà a ricordare un’opera di Raffaello sebbene artisticamente più dotato di Leonardo.
Ed è proprio sulla caratteristica incompiutezza leonardesca che Sgarbi più si sofferma: ci presenta un’immagine inedita, di un Leonardo “stronzo” autoreferenziale che segue i suoi impulsi creativi senza disciplinarsi, di cui prova evidente è l’Ultima Cena, rovinata dal tempo per la sregolatezza del suo genio. Non portando a termine l’affresco in tempi brevi come necessario, ha dipinto a secco, per cui la maggior parte dell’opera è andata perduta e questo Sgarbi ce lo racconta con la sua consueta rabbia, perché l’opera è ricca di intuizioni geniali ed è in rottura con la tradizione, ma il suo disegno mentale è stato sacrificato dall’incostanza. Leonardo, infatti, non crea su commissione, ma solo sotto l’influsso della sua ispirazione e se ritiene che di più non c’è da aggiungere, si ferma anche se l’opera non è completata. Non si tratta della scelta del non finito michelangiolesco, è l’incompiuto di chi non ha nulla da aggiungere.
Ma perché Leonardo non sente l’esigenza di completare le sue opere? Perché, ci spiega Sgarbi, la pittura è cosa mentale, l’intuizione precede la creazione per cui la seconda fase è marginale, la perfezione è nella mente, come è ben evidente proprio nell’ Ultima cena. Le testimonianze di Vasari, ci parlano di natura divina delle sue creazioni che sono soprattutto nella sua mente e la mano non raggiunge la perfezione del l’intelletto. Leonardo, come il nostro critico d’arte ci ha già annunciato a inizio serata, vuole competere con Dio, nelle se opere, pur incompiute ci riesce. Pur non professandosi credente, lo stesso Sgarbi vede nell’arte la dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio. E in queste sue interpretazioni, cogliamo tutta la capacità di meravigliarsi e l’umanità di Sgarbi che si emoziona ed emoziona un pubblico in sala che non perde mai l’attenzione. E nel suo essere dissacrante, Sgarbi ci fa la differenza tra la Gioconda che guarda tutti come una donna facile e la Dama con l’ermellino che con uno sguardo che fissa fuori dal dipinto, in realtà posa gli occhi sull’immagine interiore del suo amante, Francesco I Sforza, suo unico amore.
Non manca il raffronto con altri grandi artisti contemporanei come Antonello da Messina, la cui Annunciata ha lo stesso sguardo della Dama con l’ermellino, uno sguardo non posato sul canonico angelo rappresentato, ma fuori dal dipinto, su un angelo interiore, quindi la chiamata ad essere la madre di Dio, è un processo tutto spirituale ed interiore. Visioni innovative e raffronti tra le opere dello stesso pittore e con i suoi contemporanei ci approfondiscono la grammatica dei dipinti mettendo a paragone dettagli anche secondari, come una mano o un orecchio, ma che dimostrano l’autenticità o meno di molte opere attribuite a Leonardo. E qui Sgarbi ironizza senza molti giri di parole su quanti, pur ritenuti grandi critici, hanno rinvenuto dettagli o opere leonardesche impossibili da attribuire al suo genio creativo, per cui definiti ciechi o incompetenti. Il tutto è ritmato, tra un’opera ed un’altra, dai frammezzi musicali originali di Valentino Corvino e dai video di Tommaso Arosio che seguono i ritmi di viola e violino di Corvino. Fondamentale nella comprensione del nostro artista del contemporaneo Vasari, di cui Sgarbi dà puntuali letture e commenti, trasmettendo allo spettatore in sala la misura della personalità e della grandezza del genio in questione.
Tre ore di spettacolo, senza perdere il ritmo dell’esposizione e senza mai annoiare un pubblico in sala partecipe, emozionato e all’occorrenza divertito. Un’operazione teatrale che avvicina il grande pubblico e non solo spettatori di nicchia, ai grandi temi esistenziali e alla storia dell’arte, allontanandoci dalla volgarità e dal vuoto di molte proposte televisive e non solo. È la prova che il Teatro può fare molto e ancora di più in questa direzione.
Mena Zarrelli
13 ottobre 2018