Recensione dello spettacolo “Moby Dick, la bestia dentro”, in scena al Teatro Vascello dal 10 al 11 Ottobre 2018
Una nave nel mare tempestoso, due uomini, un anziano ed un giovane. Tanto basta a definire i termini di un’eterna tematica. Delle infinite letture possibili dell’eterna favola di Herman Melville, in “Moby Dick, la bestia dentro”, scritto e diretto dal giovane Davide Sacco, si predilige quello del viaggio della conoscenza. Meta irraggiungibile, che sfugge alla cattura come la mitica balena bianca, ma da inseguire comunque, con incrollabile ostinazione, con l’arma unica ed imperfetta della ragione, cui il sapere e l’arte danno alimento.
Ma se per il giovane Ismaele la ricerca è apertura alla vita, per il vecchio Achab, amareggiato dalla perenne frustrazione, è diventata un mostro che abita l’anima rodendola quotidianamente. In definitiva, follia.
Stefano Sabelli, nei panni del Capitano della Peaquod, si immerge completamente in quella ossessione, con una partecipazione esasperata che si traduce in una interpretazione continuamente sopra le righe, dolente fino allo spasimo, graffiante fino alla lacerazione, urlata in modo monocorde. Insomma eccessiva. Ben più efficace appare il giovane Gianmarco Saurino, che con la naturale disinvoltura, il franco sorriso sul bel volto, ma soprattutto con una recitazione sicura e ricca di modulazioni, ben esprime il giovanile disincanto di Ismaele, in stridente contrappunto con la possessione di Achab e del suo interprete.
L’allestimento si avvale di semplici. ma efficaci accorgimenti scenografici a sostegno: la prua della baleniera, ricostruita sul palcoscenico, si muove fra onde di libri aperti; parte del pubblico invitata a sedere fra i marosi, campione dell’intera umanità coinvolta; un sottofondo musicale, eseguito dal vivo dal polistrumentista Giuseppe Spedino Moffa, che richiama l’eco di canti marinari.
Concentrare in un’ora e mezzo di spettacolo ed in un profluvio di parole la pluralità di temi contenuti nell’opera somma di Herman Melville è operazione comunque meritoria e, nell’allestimento messo in scena al Teatro Vascello, tutto sommato riuscita. Il lavoro è comunque penalizzato dalla mancanza di uno sviluppo drammaturgico. Le profonde speculazioni filosofiche hanno bisogno di spazi dilatati e le verità trovate non si valorizzano urlandole, ma costruendo tempi piani su cui elevare i picchi del loro crescendo.
Insomma bene, ma troppo: troppe parole, troppa enfasi. Troppo.
Valter Chiappa
12 Ottobre 2018