Recensione dello spettacolo La Cena in scena al TeatroSophia dal 20 settembre al 7 ottobre 2018
Una tavola imbandita per 27 persone accoglie gli spettatori per La Cena.
Vengono accompagnati e fatti accomodare tre per volta al tavolo da un maggiordomo che serve loro del vino. A capotavola è seduto un uomo (Andrea Tidona) – che nel prosieguo della serata si scoprirà essere il padrone di casa – il quale, dopo aver atteso che tutti i commensali hanno preso posto, principia a discettare con Fangio (il maggiordomo, alias Cristiano Marzio Penna). I rapporti tra i due sono molto tesi: poche parole, pochi gesti, pochi sguardi da parte di Fangio che si limita ad “assistere” quanto di lì a poco sta per accadere.
L’aria è greve, quasi imbarazzante. C’è soggezione da parte di Fangio e c’è soggezione negli spettatori/convitati.
Questo stato d’animo persiste all’arrivo di Giovanna (Chiara Condrò) e Francesco (Stefano Skalkotos), la figlia del padrone di casa e il suo fidanzato, annunciati dallo stesso Fangio che, al loro ingresso, si dilegua nelle cucine (salvo ricomparire a fine convivio).
La Cena ha inizio nel momento in cui Giovanna e Francesco prendono posto a tavola davanti a una zuppa calda appena servita. Lui ha molto appetito mentre Giovanna pilucca nel piatto. Il padrone di casa, intanto, non ha mai smesso di conversare – più che conversare sembra più divertito a provocare – sotto il suo occhio vigile e scaltro. Ma se Francesco pare incuriosito dalle sue parole, seppur intimorito e timido di fronte alla figura del padre, tanto da farsi trascinare in un gioco astuto e subdolo, Giovanna non proferisce frase e, impotente, rimane ad assistere alla “disgregazione” tanto fisica quanto psicologica del suo amore. Invano cerca di far desistere il pavido Francesco nello scontro verbale e psichico con suo padre; per lei è una pellicola già vista e vissuta tempo addietro sulla propria pelle e sul proprio corpo ma, si sa, il desiderio di farsi valere nei confronti del prossimo, la voglia di dimostrare il valore di se stessi e il proprio orgoglio è tanta. Francesco però non ha fatto i conti con gli spettri del passato di famiglia e con la figura dominante del padre le cui mani sono pronte a prendersi tutto, persino a spingersi dove non possono…
Uno spettacolo inusuale, turbante, impudico, inchiodante. Come recita il proverbio? I panni sporchi si lavano in casa. Ebbene ne La Cena non cambia nulla, i panni sporchi si lavano in casa non fosse altro che gli spettatori si tramutano in invitati al banchetto ed assistono – anche loro impotenti – a ciò che non hanno mai assistito. In realtà ogni cosa, ogni gesto, ogni parola che si palesa agli occhi del pubblico è un déjà-vu, una grande metafora della vita, ma che tradotta nel contesto de La Cena lascia spiazzati. Proviamo ad immaginare infatti cosa si proverebbe ad assistere ai segreti di una qualsiasi famiglia che può essere quella del vicino di casa, del nostro migliore amico, del panettiere ecc. Il disagio sarebbe troppo da sopportare, ma detta situazione pensata e/o immaginata a teatro assumerebbe tutto un altro “tono”.
Ed ecco che la straordinarietà e l’unicità del testo di Giuseppe Manfridi sta proprio nello svelare i desideri, le paure , i dubbi più reconditi e le bassezze dell’animo umano attraverso un banale momento di quotidianità, scoprirci – perché no? – davanti ad una tavola imbandita e, per di più, con tutti gli strumenti che il teatro mette a disposizione.
Ne La Cena la combinazione teatro/banchetto riesce perfettamente, la sensazione di sentirsi non più pubblico ma “invitati” produce tutti gli effetti voluti e studiati a tavolino.
Perché a teatro l’impressione dello spettatore è quello di sentirsi il più delle volte super partes. A La Cena il ruolo di spettatore e attore viene capovolto, stravolto.
E ognuno, al termine, soccomberà.
Costanza Carla Iannacone
1 ottobre 2018
informazioni
LA CENA
di Giuseppe Manfridi
Progetto teatrale e regia: Walter Manfrè
con Andrea Tidona, Chiara Condrò,
Stefano Skalkotos, Cristiano Marzio Penna