Recensione dello spettacolo Tiranno Edipo! in scena al Teatro India dal 27 Settembre al 3 Ottobre 2018
La ricerca della propria identità non è un problema di Re Edipo, ma di tutti noi: siamo tutti Edipo. E non è, o non è solo, un lavoro da lettino di analisi, ma una questione sociale. Così, in “Tiranno Edipo!”, Giorgio Barberio Corsetti attualizza l’eterno messaggio di Sofocle, nel rileggere l’”Edipo Re”,
La rappresentazione inizia all’esterno, in quello che potrebbe essere un attendamento di profughi, ma, più in generale, è la rappresentazione di una società all’incipiente collasso. C’è una sola via per la salvezza: entrare dentro, dentro al teatro e dentro sé stessi, per cercare la verità. Viaggio doloroso e dall’epilogo drammatico. La hýbris della ragione induce alla presunzione di conoscere, di comprendere, di dominare. Ma solo un veggente cieco conosce la verità. La nostra natura è più magmatica e imperscrutabile ed è in quella che bisogna affondare il coltello. Come Edipo, non siamo necessariamente artefici della colpa, ma l’enorme macigno è sulle nostre spalle e ci piega comunque. Impossibile comprendere razionalmente, c’è solo da espiare.
Nel lavoro di regia, Corsetti porta avanti il suo discorso, avvalendosi con grande sapienza di ogni strumento a sua disposizione. La scenografia è fatta di proiezioni di corpi frammentati, pareti ed impalcature su cui inerpicarsi, striscioni con le parole chiave del percorso drammaturgico: Ainigma, Aletheia, la Verità e infine Pharmakos, il capro espiatorio, al contempo medicina e veleno. I costumi si dividono fra anonimi completi grigi tutti uguali, simbolici di una umanità intercambiabile nel comune destino, e abiti di un rosso squillante e sanguinoso come la verità che ineluttabile attende.
Ma è mettendo a dura prova i suoi attori, che il regista/tiranno dà più efficacemente voce alla sua idea. Innanzitutto chiedendo loro di scambiarsi nel ruolo del protagonista: tanti Edipo, ognuno con il suo volto, tutti con il medesimo dramma davanti. Corsetti costruisce poi movimenti di gruppo estremamente articolati, richiede agli interpreti fisicità e gestione sempre diversa del corpo, assembla il coro delle voci in arrangiamenti che uniscono il canto, la danza, la percussione. Un lavoro complesso, articolato su più piani, che colpisce per l’inesauribile creatività, ma che non dà mai l’impressione della mera trovata scenica, così frequente in tanto teatro sperimentale.
Ne esce fuori uno spettacolo fibrillante, che tutela, in particolare nella scrittura, l’impostazione aulica del classico, ma al contempo mostra l’intera gamma delle moderne possibilità espressive. Al di fuori delle rappresentazioni ingessate, al di fuori del blasfemo stravolgimento.
Da quanto sopra emerge la necessità, oltre che il desiderio, di rendere merito agli attori, giovanissimi e tutti provenienti dall’Accademia Silvio D’Amico. Sebbene siano apparse delle emergenze, non appare giusto soffermarsi sulle singole interpretazioni. Chiamati a declamare, danzare, cantare, sfiancati dai movimenti frenetici, messi alla prova dal gioco dei ruoli, i protagonisti profondono tutti il loro impegno ed è comunque nella coralità che consentono al regista di realizzare la sua ambiziosa costruzione.
All’eroismo del personaggio, alla meticolosa fatica del regista, all’abnegazione degli attori, dovrebbe ora seguire il nostro personale impegno. Siamo tutti Edipo: ma ne saremo capaci?
Valter Chiappa
29 settembre 2018