Recensione dello spettacolo “La tempesta”, in scena al Globe Theatre dal 21 Settembre al 7 Ottobre 2018
C’è un isola, in qualche mare, che è la nostra mente. Vi aleggiano le ferite del passato e l’eredità futura, vi convivono il mostro e la bellezza, è l’albergo di ogni opposto, che nulla può sradicare: amore e malvagità, natura regale e becere pulsioni. Solo Prospero, il grande Artefice, può ricomporne il caos. Lo fa attraversando il dolore, affrontando la fatica immensa del conoscere; lo fa perché lo assiste un dolce spirito amico.
È questo il dono dell’arte, esigente padrona che ci offre, in cambio del sacrificio e della dedizione totale, la catarsi dell’affrancazione dell’Io. “La tempesta” non è solo il commiato di William Shakespeare dalle scene, ma il racconto di un percorso terapeutico che ognuno, artista o spettatore è invitato a intraprendere, lasciandosi guidare fiduciosi dalla magia.
Quell’isola incantata è ricostruita nell’allestimento di Daniele Salvo con tutti gli strumenti a sua disposizione: suggestioni scenografiche, coreografie, il potere evocativo della musica. È certo una produzione ricca quella del Globe Theatre, ma dove ognuno spende i suoi talenti al meglio, apportando un originale contributo alla costruzione di Prospero/Salvo. Se, nel particolare, alcune singole soluzioni sceniche risultano particolarmente efficaci, come il velo oscuro che trasporta l’immagine in una dimensione sognante o le maschere di lattice che imprigionano il volto degli spiriti, è dalla sincronia nel lavoro comune che scaturisce la composizione di quadri di forte impatto emotivo, in particolare nel trionfo finale dei due amanti o nel monologo dell’abiura.
Salvo può inoltre avvalersi dell’affidabilità di una compagnia di elevatissimo livello, con professionisti di consolidato mestiere, come Martino Duane e Carlo Valli, oltre a giovani promettenti, come Sebastian Gimelli Morosini e Simone Ciampi. Saldo su queste sicura fondamenta, il lavoro del regista può quindi concentrarsi nell’orchestrare la varietà di registri richiesta dall’eterogeneità dei personaggi principali: aulica impostazione nel recitato di Prospero, virtuosismo fisico e vocale per Ariel, grezzo scavarsi necessario a scolpire la bestialità di Calibano, cultura del vernacolo ad uso di Trinculo. I protagonisti rispondono a pieno, infittendo con la loro anima, è privilegio dell’attore, la trama tessuta dal regista. Sovrastante nella memoria, e non potrebbe essere altrimenti, l’impressionante potenza dell’interpretazione di Ugo Pagliai, che non fa rimpiangere il Maestro Giorgio Albertazzi, protagonista nell’allestimento del 2010. Si deposita nel cuore invece questo Ariel, per il trasparente e contagioso amore che Melania Giglio riversa sul suo personaggio, il personale dono che l’attrice unisce ad una performance in cui si immola fino allo sfiancamento. Imponente anche il lavoro cui, in direzione opposta, si sottopone Gianluigi Fogacci, capace, deformando corpo e voce, di pescare nei meandri più oscuri della sua tecnica, alla ricerca della mimesi con il suo Calibano. Emerge anche, gradito al pubblico, il talento comico di Marco Simeoli, innato nella sua anima partenopea (e più che mai opportuno è l’omaggio alla memoria di Eduardo).
L’affluenza alla prima, complice forse una serata minacciosa di pioggia, è parsa, pur essendo cospicua, inferiore agli abituali “tutto esaurito” del Teatro di Villa Borghese. Ma “La tempesta” è uno spettacolo da vedere, non solo per il piacere di assistere a un grande spettacolo. Se un personaggio può, al termine dell’improba fatica, togliere la maschera e liberare le fini fattezze di una donna, anche noi, guidati dalla magia di Prospero, potremo, usciti dal cerchio di legno, ritrovare noi stessi, finalmente capaci di non essere più noi stessi.
Valter Chiappa
23 settembre 2018