Recensione dello spettacolo “La bella addormentata” in scena al teatro dell’Opera di Roma dal 15 al 23 settembre 2018
Ricerca continua, tenendo fede all’originale: Jean-Guillame Bart porta la sua Bella Addormentata al Teatro dell’Opera di Roma e la veste di meraviglia.
Lo stesso effetto e le stesse sensazioni di una fiaba: è stata questa la prima emozione che “La bella addormentata”, il balletto accompagnato dalle melodie dell’immortale Čajkovskij, andato in scena dal 15 al 23 settembre al Teatro dell’Opera, ci ha regalato.
Quell’identico stato in cui, da bambini, occhi chiusi ed immaginazione senza redini, ci lasciavamo prendere per mano dal racconto lineare, semplice e delicato che voce di nonna, musicale al pari della sinfonia del maestro russo, narrava con la stessa dolcezza di un canto antico.
È così, infatti, che il coreografo francese Jean-Guillaume Bart realizza La bella addormentata, attraverso una ricerca continua che non prescinde mai dalla tradizione ma che, anzi, come lui stesso afferma, la perseveri e la protegga: ed il risultato è eccezionale. Questa nuova Bella lascia intatta la struttura originale di Marius Petipa e aggiunge notevoli contributi drammaturgici con l’obiettivo di dare maggiore spessore psicologico ai personaggi. A partire dall’Overture, un prologo in cui viene raccontato e spiegato il motivo della sete di vendetta della malvagia Carabosse – una bravissima Roberta Paparella che appare davvero magica nel danzare fluida e agile, pur mantenendo l’esplosività nei movimenti degni di una potente maga – continuando con i festeggiamenti di corte e le armoniose e lineari danze delle delicate fate, per finire con le nozze in cui l’intero corpo di ballo si distacca dal ruolo accessorio per diventare protagonista dinamico e danzante.
Bart lavora incessantemente su questa fiaba classica concentrandosi sulla coerenza. Ascolta la partitura musicale, guarda le coreografie classiche, studia i costumi dell’epoca e, una volta immagazzinato tutto ciò, regala al pubblico un’opera dall’approccio differente da quello originale, abbracciando nella sua interezza la storia, regalando completa e omogena unità scenica e teatrale a tutto il corpo di ballo, senza dimenticare i virtuosismi dei singoli – menzione particolare allo straordinario Walter Maimone nei panni dell’Uccello Blu e a Marianna Suriano la Fata dei Lillà, filo conduttore e regista in scena dell’intera opera – donando anche maggiore spazio alla vena artistica di Michele Satriano, il principe Desirè e, ovviamente, ad Aurora (Flavia Stocchi).
Ogni colore ed ogni costume è avvolto da una permeante aurea fiabesca: la favola infatti, attraverso i pastelli talvolta morbidi e dolci che avviluppano le fate, altre caldi e accoglienti che riparano dall’inverno nevoso e altri ancora candidi, bianchi e luminosi da mantenere intatto l’incanto che aleggia sul dormiente bosco di attesa dipinto, si dipana con delicatezza, seguendo l’armoniosa linea che i movimenti perfetti e sinuosi dei ballerini descrivono soavemente.
Nulla è lasciato al caso nella perfezione dei gesti: ogni attimo ed ogni movenza è raccontata dal ballo e nel ballo. Il sogno e la visione in cui Desirè incontra per la prima volta Aurora è una favola all’interno dell’intreccio stesso che racconta se stessa mediante il linguaggio universale dei corpi che volano e aleggiano nell’atmosfera incantata dell’opera. Colori e costumi, dunque, vestono di magia il ballo, protagonista di una storia animata dall’esecuzione musicale coinvolgente dell’orchestra abile a seguire passo passo ogni salto ed ogni elegante movimento che fan piombare gli spettatori in quell’accogliente mondo dei fiabeschi ricordi.
Ecco la nostra “Bella addormentata”: una favola bella che, danzando, si racconta.
Federico Cirillo
23 settembre 2018