Giovedì, 27 Febbraio 2025
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Sebastián Marroquín: vi racconto mio padre Pablo Escobar

Recensione della conferenza spettacolo Pablo Escobar. Una storia da non ripetere in scena al Teatro Brancaccio venerdì 21 settembre 2018

 

“Juan Pablo o Juan Sebastián, come preferisci essere chiamato?”
Ha inizio così, con un dubbio amletico, la conferenza-spettacolo di Sebastián Marroquín, il primogenito di Pablo Escobar che, nel giorno del debutto italiano, racconta alla platea del Teatro Brancaccio la storia del narcotrafficante più conosciuto al mondo. Dal suo punto di vista: di figlio, uomo, padre.

Juan Pablo Escobar Henao per i primi sedici anni, Sebastián Marroquín dalla morte del Patrón, l’architetto quarantunenne si presenta al pubblico in camicia e pantaloni neri e precisa subito che non è un nome, anzi, un cognome a definire chi siamo, anche quando si è figli del narcotrafficante più cercato, conteso, amato e odiato al mondo. Anche quando cambiare identità è l’unica via di fuga per non ripetere la storia e provare a ricominciare.
“Dopo la morte di mio padre, abbiamo cercato di espatriare, ma nessuna compagnia aerea ha voluto venderci un biglietto. Dopo aver chiesto aiuto anche all’ONU, al Vaticano, alla Croce Rossa Internazionale – racconta ai presenti – ho capito che l’unico modo per lasciarsi alle spalle tutta la violenza ereditata era cambiare nome”.

Il racconto prosegue con una serie di immagini “strappate” all’album di famiglia e che quasi mai restituiscono un quadretto felice. Scorrono le foto della celebre Hacienda Napoles, di elicotteri e veicoli di ogni genere e con esse la conferma di quanto poco effettivamente avessero. Non tarda ad arrivare neppure la prima presa di posizione contro Hollywood e il colosso delle serie televisive Netflix che, secondo Sebastián, avrebbero contribuito a diffondere un’immagine di sfarzo e benessere permanente e a celebrare il delinquente più ricercato come un’eroina da imitare. “Avevamo 4 milioni di dollari, eppure abbiamo sofferto la fame e la sete”, dirà più avanti.

È a questo punto che, come un insegnante di fronte a una platea di neo diplomati ancora troppo giovani per conoscere il mondo, racconta quanto poco avessero goduto di tutti quei “privilegi”: un 10% forse. Una cifra ridicola rispetto a un’intera esistenza che si apre e si chiude con la nascita e la morte di Pablo Escobar, all’età di soli 44 anni. Nel mentre, in platea, un’unica domanda risuona silenziosa: “ne vale davvero la pena?”. La stessa che Sebastián ama condividere con i fan che, da ogni parte del mondo (tanti sono italiani), gli chiedono come fare a diventare narcotrafficanti.

Influenza (negativa) della serie TV Narcos? Sebastián non ha riserve in merito e per dimostrarlo elenca alcuni dei 28 errori commessi dagli autori della serie televisiva solo durante la seconda stagione. Errori che, se, da un lato, racconterebbero inesattezze storiche, dall’altro, contribuirebbero a diffondere la convinzione che i soldi e la violenza possano comprare e risolvere ogni problema.

Uno degli errori più eclatanti, in cui la stessa polizia colombiana sarebbe incappata, riguarderebbe la morte di Escobar. “Mio padre – racconta Marroquín – sin da subito mi ha insegnato la sua regola d’ora: ‘non parlare mai al telefono, perché possono rintracciarti’. Eppure il giorno della sua morte è stato lui stesso a infrangerla. Ci ha chiamato per chiedere come stessimo e l’ha fatto per farsi trovare. Aveva capito che era l’unico modo per liberare la sua famiglia. Ho anche scoperto che aveva parlato con il suo medico per chiedere quale fosse il modo sicuro per morire e non restare disabile a vita. Il medico gli aveva spiegato che c’era un unico modo per morire all’istante: spararsi nell’orecchio destro. Ed è proprio qui che trovarono la ferita sul cadavere di mio padre il 2 dicembre 1993”.

Una lezione di vita che non si limita a svelare retroscena inediti della famiglia più chiacchierata di sempre. Un racconto intenso, a tratti struggente, che apre molte riflessioni sull’uomo, sulla storia di un Paese e sul destino di un figlio che ha scelto di darsi un futuro, nonostante tutto.


Concetta Prencipe

25 settembre 2018

Logoteatroterapia

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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