Recensione dello spettacolo l'Una dell'Altra in scena al Teatro Studio Uno dal 7 al 10 aprile 2016
Semifinalista al Roma Fringe Festival dell’edizione 2015, L’una dell’altra fa tappa al Teatro Studio Uno, e in quel di Torpignattara prendono vita sulla scena piccoli drammi esistenziali, resi leggeri nella forma, ma che ognuno può avvertire come propri, riconoscendosi.
Perché una dell’altra? Perché una dell’altra ha percepito e compreso solitudine e debolezze, perché nell’altra, che è diversa, c’è in realtà lo stesso squarcio d’anima, le stesse insofferenze, affrontate diversamente, eppure entrambe forti, ugualmente invalidanti.
Valentina D’Andrea e Flavia De Lipsis, rispettivamente Lucy e Pina, su di un palco, senza scenografia (bastano loro a catturare l’occhio) sono due giovani donne che, all’uscita da una discoteca, aspettano entrambe lo stesso notturno. Abiti, movenze, sguardi, comportamenti e toni di voce ci permettono di comprendere direttamente la natura delle due donne, una diffidente, taciturna, sulle sue e un po’ scontrosa, l’altra spavalda, vissuta, una fiumana di parole, a tratti frivola. Lucy interagisce, Pina a stento accenna gesti col capo per rispondere alle domande dell’altra. L’innesco fra le due e la successiva empatia che ne verrà fuori presto verranno svelate. La diversità non è sinonimo di inconciliabilità, in quanto è proprio il diverso a suscitare curiosità, e nel diverso si trovano poi affinità che in superficie spesso si percepiscono solo. L’una giudica la diversità dell’altra, cogliendo anche i blocchi e le debolezze che fan male. Lucy consiglia a Pina di sciogliersi un po’, di viversi gli attimi, di godere della vita perché una vita senza piacere, rischi e voglia di mettersi in gioco sarebbe solo un grigio trascinarsi, Pina accusa Lucy di manie di protagonismo che celano invece un grande vuoto, vede che tutto quell’esibizionismo in realtà è un’accurata maschera che Lucy indossa come barriera nei confronti del mondo, questa Lucy provocante e svestita che in realtà ha “più strati di una cipolla indosso”. Man mano le vite delle due donne prendono forma, si addentrano in racconti e situazioni, i giudizi calano e la comprensione si rafforza, le solitudini si uniscono. Entrambe sono la rappresentazione di due modi di essere, distaccato dal mondo o introiettato nel mondo, due atteggiamenti che derivano da un trascorso e che serbano entrambi degli approcci giusti e giustificabili. È l’estremo di come essi vengono accolti e vissuti dalle protagoniste che lascia intendere come entrambi i loro comportamenti sono frutto di malesseri e disagi. Non solo il testo, ma anche e soprattutto l’interpretazione delle attrici ci permette di comprendere tutto ciò. Infatti, più che il testo, discorsivo e a tratti poetico, è la recitazione che coinvolge lo spettatore. La drammaturgia che affronta comunque temi di natura psicoanalitica, ci propone due storie in forma leggera dalla natura profonda, risparmiandoci perle di psicologia spicciola, ma spingendo in maniera induttiva lo spettatore nei microdrammi affettivi. Un testo che parte benissimo, proiettando subito il pubblico nella storia, con l’unico rischio di una leggera ridondanza durante lo sciogliersi della trama. Resta comunque la bravura delle attrici a tenere in piedi lo spettacolo conferendogli densità e interesse. Immedesimate e espressive, dalla sintonia spiccata “l’una è un gabbiano che ha spiccato il volo per non sentire la puzza degli uomini. L’altra,una gatta che si struscia al mondo”. Una riuscita messa in scena, dunque, che indaga le basi dei caratteri, la mancanza di affetti o la difficoltà degli adulti a darne che messe assieme a sensibilità molto elevate sono sempre fonte di solitudini perpetuate, disagi e blocchi, ansia generata dal dover soddisfare sempre le aspettative altrui, distacco dal mondo o eccessivo attaccamento, forme di anoressia e bulimia sentimentale che lo spettacolo ci sferza come uno schiaffo che suona come: Attenzione, quando entri in contatto con l’altro, fermati, non calpestarlo, guarda anche te stesso, fai silenzio, ascolta, entra in connessione e abbraccia, perché abbracciando l’altro abbracci la tua e la sua solitudine. Lo spettacolo deve girare.
Erika Cofone
12 aprile 2016