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L’intruso, indagine di Davide Tassi sul lato oscuro dell’anima

Recensione dello spettacolo L’intruso, in scena al teatro Planet nell’ambito del Doit Festival il 31 marzo e 1 aprile 2016

L’intruso, monologo di Davide Tassi, è il nono appuntamento del Doit Festival “drammaturgie oltre il teatro”  che, giunto alla sua seconda edizione, sta sviluppando i suoi intenti (ovvero promuovere la creatività delle nuove generazioni e delle tante realtà teatrali “periferiche”), al teatro Planet di Roma. 

Ogni spettacolo è arricchito, al suo termine, da un dibattito con la compagnia in scena. Ottima idea questa che ci ha permesso, da ospiti sul palco, di comprendere ancora meglio le volontà di Davide Tassi e di scoprire alcuni retroscena del processo che lo ha portato a generare questo monologo. La storia è quella di un uomo ai margini della società, sociopatico, che non è in grado di stringere rapporti con l’altro, che quasi “odia” in quanto convinto che non sia in grado di comprendere la sua condizione. Un malessere che porterà quest’uomo a compiere, progressivamente, atti giudicati dal vivere comune come “assurdi”, fino all’epilogo inaspettato incentrato su un atto di pedofilia.

Un ruolo non facile da descrivere, ma che Tassi è riuscito a far suo anche grazie ad uno studio approfondito, ci racconta, supportato dall’aiuto di una psichiatra. La volontà dell’autore/attore è quella di metter in scena un uomo senza maschere, che non ha paura di mostrare la sua vera identità e che nel farlo vuole mettere in luce il vero volto delle persone con le quali è costretto a vivere ogni giorno. Colleghi d’ufficio, vicini di casa e (in minima parte) famigliari. In circa un’ora di spettacolo si scoprono così progressivamente le patologie di un uomo in lotta con se stesso, devastato da personali demoni interiori che non gli permettono di inserirsi con serenità negli ingranaggi, giusti o sbagliati che siano, della società.

Un male che, a detta di Tassi, è quindi profondo, non superficiale (riferendoci alle riflessioni di Hannah Arendt) ma in grado di avere lo stesso spessore, la medesima complessità dell’amore nelle sue infinite sfaccettature. 

Uno spettacolo ben fatto (tuttavia migliorabile nella trama) e gradevole, che ha l’ambiziosa pretesa di far riflettere su un tema poco discusso, quello della pedofilia. Alla fine lo spettatore rimane quasi scioccato, ed interdetto dal finale (ben scritto e recitato) che non lascia ben comprendere quale sia stato l’effettivo svolgersi dei fatti. Usciti da teatro si rimane quasi infastiditi dall’aver conosciuto un personaggio come questo e si ci interroga se sia giusto o meno giustificare alcune sue azioni. Pensieri che testimoniano la riuscita dello spettacolo.

 

Enrico Ferdinandi

1 aprile 2016

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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