Recensione dello spettacolo Bukowski – A Night With Hank in scena al Teatro Planet all'interno del DOIT Festival dal 29 al 30 marzo 2016
«Well, I got a bad liver and a broken heart
Yeah, I drunk me a river since you tore me apart
And I don't have a drinking problem, except when I can't get a drink»
[Tom Waits, Bad Liver and a Broken Heart]
Charles Bukowski, chi non lo conosce? Lo scrittore e poeta sboccato, ubriacone, cinico, fallito (ma solo fino a un certo punto) che ha fatto evolvere il concetto stesso di bohème verso forme più contemporanee. Un mito per molti, un simbolo di ribellione e anticonformismo. Sicché da questo spettacolo ci si aspettava il solito monologo presuntuoso, forse banale, di qualche borioso artista infatuato di Bukowski. È andata così?
Fortunatamente no.
Un monologo congegnato e inscenato dalla compagnia pugliese Teatro dei Limoni, ci trasporta attraverso riflessioni e pensieri dello scrittore lungo una giornata bukowskiana, ma non una giornata qualsiasi bensì il quarto giorno di un suo immaginario percorso di disintossicazione dall'alcol, a ridosso da un viaggio in Europa per pubblicizzare il suo nuovo libro, nel punto in cui il successo sembra finalmente accorgersi di lui. In un'atmosfera a tratti onirica e visionaria Bukowski si confessa, si arrabbia, si intristisce, restituendo agli spettatori l'immagine di un sé diverso rispetto al personaggio, alla maschera, che il sistema gli ha cucito addosso per poterlo vendere meglio (qui immaginate l'autore che ammicca vistosamente a Pirandello).
Il monologo non annoia mai, anzi, e non è nemmeno una mera parafrasi di testi bukowskiani, ma è stato scritto da un Francesco Nikzad particolarmente stimolato dalla figura di Bukowski, e curioso di capire dove fosse, ammesso ci fosse, il confine tra l'uomo, l'artista, il personaggio e la maschera. Fondamentale per la scorrevolezza del pezzo è l'interpretazione di un bravo e ispirato Roberto Galano, perfettamente immedesimato nella parte, quasi come se condividesse con Bukowski, o con il suo alter ego Henry “Hank” Chinaski, quella difficoltà di vivere e di fare arte sempre in bilico tra fallimento e fiera ribellione. Lo spazio poi, quello miniaturizzato del Planet, si presta benissimo a quella sensazione di intimità e complicità quasi confessionale tra attore e spettatori, separati da uno spazio veramente esiguo, e questo contribuisce ad aumentare il coinvolgimento nel pezzo.
Attraverso Galano, Bukowski/Hank ci parla di amore, di scopate, di vino, di scrivere, ancora di vino, di essere figlio di un padre di merda, ma anche di essere un padre di merda egli stesso, di donne, di Linda Lee, la sua passione, di creditori, etc. E ci parla anche dell'essere a un bivio di vitale importanza, (un bivio senza indicazioni di direzione, ovviamente, come tutti i grandi bivi fondamentali nelle nostre vite) che è anche un bivio tra l'essere lo scrittore carnale e volgare che (si) vende, oppure il poeta che scrive infischiandosene di chi leggerà, lasciando libero l'uccello azzurro della poesia, ingabbiato dentro di sé.
La scena è una piccola stanza interamente ricoperta da carta da pacchi (il provvisorio), una scrivania con sopra un dittafono e una macchina da scrivere, e al centro una vasca da bagno (che la leggenda vuole portata dalla Puglia), ora illuminata da una cupa luce rossa, sanguigna come il vino, ora da semplici e povere lampade pendenti. Il set è perfetto per suggerire visioni, come il corvo che Hank immagina appollaiarsi sulla macchina da scrivere – citazione da un altro grandissimo scrittore ubriacone, Edgar Allan Poe – o l'amico con le ali evocato da uno smoking magicamente apparso, o ancora l'epico e oscuro bagno catartico nel vino.
La colonna sonora è quasi sempre, neanche a dirlo, costituita da pezzi di Tom Waits, una scelta che potrebbe sembrare troppo facile forse, ma anche, in un certo senso, obbligata, considerando quanto la voce roca e impastata di Waits (altro ubriacone), e le atmosfere delle sue canzoni, si adattino al tema e al ritmo del monologo.
Mario Finazzi
1 aprile 2016