Venerdì, 01 Novembre 2024
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Benvenuto Cellini. L'opera di Berlioz attraverso gli occhi di Terry Gilliam

Recensione del Benvenuto Cellini in scena al Teatro Costanzi dal 22 marzo al 3 aprile 2016

"Io ho curato nove regie di opere liriche, e tra queste ha un valore particolare il Benvenuto Cellini. Si tratta di un lavoro difficile, <<monstre>> di Berlioz, che proprio per la sua particolarità e grandiosità, è stato pochissimo rappresentato: solo quattro messe in scene in tutto il Novecento. Si capisce che la rappresentazione del Benvenuto Cellini è un evento. Insomma, a Roma, fuori dal teatro, c'erano i bagarini. Era riuscita bene ed aveva registrato il sold out. Niente! Solo sei repliche! Le scenografie erano stupefacenti, disegnate da Quirino Conti, uno spettacolo straordinario."

 (Gigi Proietti)

 

Personaggio storico emblematico Benvenuto Cellini: scultore, orafo, scrittore, argentiere e artista tra i più importanti del Manierismo italiano. Tutto questo non poteva che accendere la fantasia e l'animo "romantico" di Hector Berlioz che tra alterne vicende, dopo aver letto la sua autobiografia "Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze" (più nota come "La Vita") ne rimane folgorato a tal punto da assurgere l'artista italiano a suo alter ego e trasfigurazione dell'eroe (o forse già antieroe) romantico in un'opera semiseria che prende forma tra il 1834 e il 1838 a Parigi, dove viene allestita, rimaneggiata, allestita una seconda volta, abbandonata per poi essere rimaneggiata e allestita per una terza ed ultima volta nel 1852 a Weimar.

Tre fallimenti di critica e di pubblico che col senno di poi non vedranno mai una versione definitiva e che in questa regia di Terry Gillian prendono nuova vita in una versione ibrida che da largo spazio e importanza centrale alla scena del Carnevale (alla quale segue l'omicidio).
Una lavoro interessante quello di Gillian (che si era già confrontato col compositore francese firmando precedentemente la regia de la Dannazione di Faust) dove confluiscono le esperienze artistiche di tutta una vita: i Monty Python e il loro Flying Circus, il lavoro di regista cinematografico, sceneggiatore, attore, animatore, scrittore e scenografo.
Sul palco assistiamo al lavoro sinergico di un gruppo straordinario di cantanti, attori ed acrobati che sono il vero e proprio cuore pulsante di un' opera curata nei minimi particolari: ogni azione principale a cui assistiamo è contornata da tante altre vicende secondarie che vanno ad  arricchire nel dettaglio la scena (e così anche la storia dando vita a ogni singolo personaggio in gioco) e a popolare la particolarissima scenografia in continuo movimento e mutamento che nei suoi contrasti chiaroscurali ricorda le tante (forse infinite) litografie delle vedute e degli scorci di Roma realizzate tra seconda metà del 1700 e tutto il 1800.
Un'opera che stupisce fin dall'inizio per la sua modernità (l'orchestra inizia a suonare ma il sipario non si apre immediatamente, a sottolineare come la melodia non ha solo funzione di accompagnamento alla storia ma svolga essa stessa una funzione narrativa) che dipanandosi su più piani rappresentativi, narrativi e musicali (la spazializzazione che Berlioz attua con largo anticipo sui tempi) stimola la simultaneità percettiva dello spettatore che dal primo all'ultimo istante della messa in scena viene trascinato in in un caleidoscopio emozionale ed emotivo senza eguali.


Fabio Montemurro
28 marzo 2016

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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