Recensione dello spettacolo Truculentus, in scena al teatro Arcobaleno dal 15 gennaio al 20 marzo 2016
Come far rivivere oggi il genio creativo e tutta l'ironica vena delle commedie plautine? Ma ovviamente ambientandola...nel passato! È questo l'artificio artistico e narrativo che Vincenzo Zingaro utilizza per riportare in scena il Truculentus di Plauto.
Ecco, allora, che l'opera del commediografo classico per antonomasia, così celebre ai tempi ma così poco rappresentata oggi, trova il suo compimento calandosi a pennello nelle atmosfere pittoresche e a tratti "bohemien" degli anni '30 targati Italia, rivivendo sul palco del Teatro Arcobaleno. Proprio in un non meglio identificato paesino distrattamente dimenticato della Sicilia, l’appellativo Truculentus ("zoticone" e "violento" se traslitterato in italio idioma) che dà il nome all’opera trova «il suo senso se lo pensiamo - spiega il regista Zingaro, tra le note - come definizione di un destino capace di imporci una condizione avvilente, in grado di mortificare la nostra esistenza a cui è difficile ribellarsi. E’ quello che succede ai protagonisti di questa storia, vittime di una condizione più forte di loro, vittime di un destino tragico che li accomunerà».
Destino tragico che grottescamente e comicamente pende sulle teste dell'umano genere e, mestamente, talvolta spudoratamente, si appoggia sulle spalle di ognuno dei protagonisti dell'opera i cui sogni e passioni sbattono contro la spietatezza della cruda realtà che fa dei personaggi delle autentiche maschere in preda a passioni e sentimenti così classici da essere sempre attuali e, ovviamente, mai scomparsi, sempre pressantemente presenti e semplicemente trasfigurati da un'anima che, sforzandosi, "prende sempre più le distanze dalla realtà" sciogliendosi in "un'amara risata".
Passando al testo e tenendo fede alle testimonianze di Cicerone, questa di Plauto era considerato una delle sue migliori commedie ma anche una delle meno rappresentate nel contesto moderno e contemporaneo, poichè, secondo la critica, di esile trama.
Ed è anche per questa ragione che il lavoro di Zingaro assume una maggior valenza, testimonianza di un arguzia registica che va al di là del testo stesso, che rompe le catene con gli standard del passato e, sempre rimanendo ben ancorato alle tematiche classiche dell'opera - che mantiene comunque, seppur in chiave di rilettura riadattata ad una società remota che si rispecchia appieno con quella presente - si presenta del tutto originale, omogenea e lineare nei vari intrecci tanto cari all'autore latino.
Truculentus diventa così non più un personaggio - che qui assume il nome di Truculento - bensì un'intera condizione umana. A trasportarci nel teatro di Plauto, una pagina di letteratura latina strappata a metà , fondale scenografico che riassume il concetto espresso dal regista: il classico sapientemente squarciato dalla società moderna che da esso riprende costantemente le modalità di essere, amare, odiare, divertire e sbagliare. Ad interpretare, quindi, con sguardo contemporaneo che strizza l’occhio al passato ultraremoto per abbracciare la nostra storia, davanti al pubblico vi è l'ottima Compagnia Castalia che sapientemente riesce e rispettare tutte le maschere umane di Plauto, coniugandole in un divertente, ironico e quanto mai sempre piacevole mix di dialetti made in Italy.
Un “Amarcord” dagli echi felliniani, come è stato definito da molti, dove della trama originale rimane, quindi, solo l’intelaiatura in quanto cambiano i nomi dei personaggi ma resta centrale il tema della dipendenza dell’uomo dai suoi desideri carnali e di amore per il denaro oltre ad un'altra tipica espressione e massima del teatro di Plauto: dietro pizzi, merletti, intrecci amorosi e "truculente" maschilistiche goliardate, si cela sempre lo sberleffo al potere, soventemente denigrato e deriso a colpi di battute.
Federico Cirillo
23 marzo 2016