Recensione dello spettacolo Sacrificio del Fieno, in scena al Teatro Planet l'8 e il 9 marzo all'interno del DOIT Festival 2016
Sullo sfondo dell'Italia del Ventennio in una comunità rurale della Lombardia si consuma il dramma dell'incomprensione ad opera di un'umanità bestiale che accecata dall' odio non riesce né a vedere né tanto meno ad immaginare cosa si nasconde dietro le apparenze.
In una tragica escalation di fatti, Elena diviene il capro espiatorio delle frustrazioni che si nascondono dietro le pubbliche virtù (giustificate da sentimenti ambigui, fedi politiche e moralismi religiosi di comodo) dell'amante/partigiano Cesare/Airone, del fratello militante fascista Sergio, degli strali divini lanciati dal pulpito della chiesa da Don Filippo, del Capitano Lothar Vӧgel e di Eugenio, contadino al quale i fascisti hanno ucciso il fratello e che travisando quello che è un vero e proprio "sacrificio" (servito a salvargli molto probabilmente anche la vita) nella sua distorta opposizione al Regime trova le legittime giustificazioni a uno stupro e al conseguente incendio (doloso ma) purificatore.
Come in un noir mai scritto, in questo racconto carico di significati e ricco di sottili sfumature emotive, il confine che divide i buoni dai cattivi diviene istante dopo istante sempre più labile per risultare nelle ultime battute addirittura impalpabile. Alla fine chi sembrava un nemico, con un piccolo compromesso dettato dalle necessità che ha imposto lo stato delle cose, si rivela a suo modo un amico e viceversa chi sembrava un amico si rivela il peggiore dei nemici. L'umanità può rinnegare quanto vuole la sua natura ferina ma a conti fatti calato all'interno di determinate situazioni l'uomo rimane pur sempre lupo dell'uomo e tutti, chi più chi meno, per ipocrisia ed opportunismo non certo per spirito di sopravvivenza (è inutile nascondersi dietro un dito) saremo sempre traditori di tutti.
Ciò che colpisce di questo lavoro teatrale, oltre alla bravura dei due attori (ed autori) Michela Giudici ed Alessandro Veronesi sono, al di là di un Fascismo idealizzato (come avrebbe fatto notare Moravia che giustamente sottolineava come senza averlo vissuto non si può ricostruire integramente un periodo storico soltanto attraverso le fonti postume) l'attento studio dei personaggi e della loro psicologia e la strutturazione del testo che denota un attenzione meticolosa nella scrittura drammaturgica (cosa molto rara nel teatro degli ultimi anni) che nell'atto pratico della messa in scena ricorda, nel dipanarsi della vicenda che è esemplificata come il susseguirsi senza un preciso ordine temporale di ricordi fatti e conversazioni all'interno di un non precisato inconscio collettivo, un montaggio cinematografico perfetto.
Fabio Montemurro
9 marzo 2016