Recensione dello spettacolo Siamo Tutti Buoni in scena al Teatro Dell’Orologio dal 1 al 13 marzo 2016
In uno squallido garage, approntato alla meno peggio come monolocale, vive Elèna (Alida Sacoor): giovane e procace rumena, giunta come tanti in Italia per trovare un lavoro e cambiare la propria vita. Il posto è di proprietà di un losco individuo (Antonio Conte), il cui figlio (Riccardo Giacomini) pare irresistibilmente attratto dalla ragazza: tanto da ritrovarsi a condividere saltuariamente con lei gli angusti spazi, causando un gran disappunto nel genitore e non riuscendo nemmeno a eludere la sorveglianza dei suoi due tirapiedi (Guido Goitre e Valerio Di Tella).
Elèna è sveglia, intelligente, furba e cerca di barcamenarsi come può tra un padrone di casa traffichino, benpensante e razzista, uno spasimante tonto e imbranato, un lavoro precario da sarta e tutte le solite difficoltà di un immigrato senza permesso di soggiorno. A mettere in crisi questo improbabile equilibrio, fatto di stratagemmi, mezze verità e piccole grandi truffe ci pensa una visita a sorpresa (Matteo Montaperto) che porterà con sé i sentimenti del passato e nuovi problemi.
“Siamo Tutti Buoni”, scritto e diretto da Andrea Bizzarri, nelle intenzioni vorrebbe essere una commedia che fa pensare, puntando l’indice sui tanti problemi che affliggono i giovani precari, gli immigrati, chiunque non abbia trovato il suo posto nella società ed è costretto a ricorrere a mille mezzucci per sopravvivere. Una trasversalità della miseria umana che non conosce confini, come si evince dalle lingue e dai tanti dialetti usati: c’è la giovane rumena marchiata dai pregiudizi, il suo ingenuo fidanzato venuto da lontano, il padrone di casa senza scrupoli e dal marcato accento pugliese, il figlio borgataro che vive sulle spalle degli altri, lo schiavetto napoletano sempre accondiscendente e il sottoposto romanaccio dall’incontenibile fame sessuale. Ognuno di loro è, in qualche modo, dipendente dall’altro e ha bisogno di esserne vittima o carnefice e anche la scelta di ambientare l’intera vicenda in un garage non è casuale, perché rimanda a un sottosuolo infernale decisamente attuale.
Il problema, però, è dato dalla trama confusionaria e dalla qualità del testo: talmente misere da riuscire ad affossare l’intera opera nonostante l’eccellente interpretazione di tutto il cast, specie l’espressiva Alida Sacoor, il bravissimo Matteo Montaperto e l’istrionico Antonio Conte. Un autentico spreco di talento, posto al servizio della solita commediola degli equivoci, la cui banalità e la cui chiassosità non servono a caratterizzare uno spaccato di vita realistico o individui di tutti i giorni ma si limitano a dare vita a uno spettacolo poco brillante, condito da battute di terz’ordine e alla lunga davvero noioso:
che, anche per colpa di alcune situazioni e un paio di personaggi mal sviluppati, si risolve in un finale non concluso, forzato e decisamente posticcio nel suo tentativo di risultare amaro.
Cristian Pandolfino
4 marzo 2016