Recensione dello spettacolo Qualcuno volò sul nido del cuculo andato in scena al Teatro Umberto Giordano di Foggia il 30 e il 31 gennaio 2016
Quando nel 1975 Miloš Forman portò sul grande schermo Qualcuno volò sul nido del cuculo l’intento fu quello di raccontare il disagio vissuto negli ospedali psichiatrici dai pazienti ospitati in dette strutture, denunciando così il trattamento inumano a cui questi soggetti sono sottoposti in risposta alle loro azioni/reazioni, gesti e/o omissioni, conseguenze della malattia mentale di cui sono affetti.
La trasposizione teatrale non differisce di molto rispetto alla versione cinematografica, semmai accentua i temi della storia – per giunta, attualissimi –, primo tra tutti i diritti della personalità, la diversità, la malattia, la coercizione, la privazione della libertà individuale (tanto fisica quanto emotiva). Lo spettacolo in questione è andato in scena al Teatro Umberto Giordano di Foggia – teatro più antico del meridione dopo il San Carlo di Napoli – dal 30 al 31 gennaio, dopo aver fatto tappa al Teatro del Giglio (Lucca), Teatro Bellini (Napoli) il Teatro Arcano (Milano), Teatro Curci (Barletta), Teatro Mancinelli (Orvieto), Arena del Sole (Bologna) e a cui faranno seguito altre tappe.
Siamo nel 1982, in una clinica psichiatrica di Aversa. Direttrice della struttura è Suor Lucia, un personaggio che incarna alla perfezione l’obbedienza e il rispetto delle regole (in questo caso del nosocomio dove sono in cura i pazienti, in un’ottica più estesa potremmo dire una chiara allegoria della società civile). Tra le persone che ivi soggiornano ci sono il professor Muzio Di Marco, un soggetto affetto da una patologia psicosessuale nei confronti della moglie, Adriano, convinto di essere due entità fisiche invece che una, Manfredi, Giacomo, che si fa chiamare Mr. James, Fulvio, ragazzo balbuziente che vive un rapporto complicato nei confronti dell’altro sesso nonché con sua madre e Ramon, un nativo indiano che si finge sordomuto. Un giorno, nell’ospedale fa il suo ingresso Dario Danise, un delinquente spavaldo e anticonformista che preferisce farsi internare nel manicomio piuttosto che marcire in galera. Dario è refrattario alle regole e più volte si scontra con Suor Lucia della quale non condivide le scelte, le terapie che decide e applica sui pazienti e l’austerità con cui pretende vengano ottemperate le norme del nosocomio. Man mano che i giorni passano, i degenti che dimorano nella struttura si affezionano sempre più a Dario, che insegnerà loro l’importanza di esprimere liberamente le loro emozioni e i loro desideri e, quindi, la natura e il diritto di essere, prima di tutto, delle persone e non degli oggetti da manipolare. Tuttavia, questa sua sfrontatezza lo porterà a capitolare verso una fine alquanto tragica.
Nel testo teatrale di Alessandro Gassman, sin dalla prima scena si avverte subito il tono drammatico della storia: dalle musiche alle atmosfere ombrose (il palcoscenico è illuminato da una luce bianca al neon che mostra due tavoli rotondi, sette sedie, due panchine, una guardiola, un secchio per la spazzatura e una statua della Madonna), dai dialoghi ai costumi, comprensivi di camicie di forza e lettiga per l’elettroshock. Ogni dettaglio, ogni parola, ogni sussurro trascina con sé tracce d’angoscia e desolazione, tutto ciò che è presente sul palco del teatro funge da anticamera verso un tunnel senza via d’uscita, soltanto eco di un abbandono (sia esso di speranze, sogni, libertà e persino vendetta).
Gli attori – dodici in tutto – superano se stessi nei panni dei malati mentali, del Dott. Festa, di Betty, una prostituta amica di Dario, degli infermieri; la loro interpretazione tiene incollati gli spettatori per tre ore senza tediare mai, nemmeno per un secondo, in sala non si odono rumori né commenti, solo lo scroscio interminabile di applausi al termine della rappresentazione. Persino il senso di amarezza e melodrammaticità è tangibile tra il pubblico, e l’esaustività degli attori non è data tanto dal senso di spossatezza nel reggere le fila di una così lunga pièce teatrale, ma dal sentirsi svuotati per aver dato anima e corpo a un testo che tocca argomenti tanto scottanti e delicati.
Insomma la magia di un testo come quello di Ken Kesey (autore del romanzo di Qualcuno volò sul nido del cuculo) sta nel puntare i riflettori su un argomento che da secoli è al centro dell’intero sistema sociale: il senso è quello di ricordare a noi uomini che la società è costituita da noi individui, senza differenze di razze, religioni, sesso, cultura. Non abbiamo bisogno di sottomissioni, schiavitù o subordinazioni, siamo noi in quanto esseri viventi a fare della nostra vita un capolavoro, con le nostre diversità, manie e difetti.
Perché unicità vuol dire anche questo, ci si incontra solo scontrandosi e non esiste arcobaleno senza colori.
Costanza Carla Iannacone
1 febbraio 2016
informazioni
La Fondazione Teatro di Napoli presenta
Qualcuno volò sul nido del cuculo
di Dale Wasserman
dal romanzo di Ken Kesey
Traduzione Giovanni Lombardo Radice
Adattamento Maurizio de Giovanni
Con Daniele Russo, Elisabetta Valgoi
E con Mauro Marino, Marco Cavicchioli, Giacomo Rosselli, Alfredo Angelici, Giulio Federico Janni, Daniele Marino, Antimo Casertano, Gilberto Gliozzi, Gabriele Granito Giulia Merelli
Uno spettacolo di ALESSANDRO GASSMANN
Teatro Umberto Giordano di Foggia
Piazza Cesare Battisti
71100 Foggia
Telefono: (+39)0881.792908
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