Venerdì, 01 Novembre 2024
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Capinera. Elogio Verghiano alla Libertà e all'Amore... negati

Recensione dello spettacolo Capinera in scena al Teatro Studio Uno dal 28 al 31 gennaio 2016

"Avevo visto una povera capinera chiusa in gabbia: era timida, triste, malaticcia ci guardava con occhio spaventato; si rifuggiava in un angolo della sua gabbia, e allorché udiva il canto allegro degli altri uccelletti che cinguettavano sul verde del prato o nell'azzurro del cielo, li seguiva con uno sguardo che avrebbe potuto dirsi pieno di lagrime.

Ma non osava ribellarsi, non osava tentare di rompere il fil di ferro che la teneva carcerata, la povera prigioniera. Eppure i suoi custodi, le volevano bene, cari bambini che si trastullavano col suo dolore e le pagavano la sua malinconia con miche di pane e con parole gentili. La povera capinera cercava rassegnarsi, la meschinella; non era cattiva; non voleva rimproverarli neanche col suo dolore, poiché tentava di beccare tristamente quel miglio e quelle miche di pane; ma non poteva inghiottirle. Dopo due giorni chinò la testa sotto l'ala e l'indomani fu trovata stecchita nella sua prigione.
Era morta, povera capinera! Eppure il suo scodellino era pieno. Era morta perché in quel corpicino c'era qualche cosa che non si nutriva soltanto di miglio, e che soffriva qualche cosa oltre la fame e la sete.
Allorché la madre dei due bimbi, innocenti e spietati carnefici del povero uccelletto, mi narrò la storia di un'infelice di cui le mura del chiostro avevano imprigionato il corpo, e la superstizione e l'amore avevano torturato lo spirito: una di quelle intime storie, che passano inosservate tutti i giorni, storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto; io pensai alla povera capinera che guardava il cielo attraverso le gretole della sua prigione, che non cantava, che beccava tristamente il suo miglio, che aveva piegato la testolina sotto l'ala ed era morta." (Storia di Una capinera, Giovanni Verga, 1869)

 

 

La Sicilia della seconda metà del 1800. Un'isola arcaica, tante città ed altrettanti paesi specchio inequivocabile di una società ancora per lo più rurale e violenta.
Su questo scenario, che la mimesi scenica sintetizza in una sorta d'antro di caverna, si muove la diciannovenne Maria che orfana di madre a 7 anni fu (rin)chiusa dal padre in un convento di clausura. E' passato tanto tempo e un'epidemia di colera a CatANIA da l'opprtunità a Maria di uscire momentaneamente dalla clausura e raggiungere il padre, che con un'altra donna si è fatto una nuova famiglia, nella loro casa di Monte Ilice.
Attraverso le lettere che invia all' amica e novizia Marianna assistiamo al progressivo ritorno alla libertà della ragazza che finalmente può scorrazzare libera e felice per i campi. Ma questo repentino cambiamento come un frutto dell'albero della conoscenza del Bene e del Male in un nuovo giardino dell'Eden la renderà consapevole con l'incontro della famiglia dei vicini, la famiglia Valentini, di essere goffa e di provar piacere nella compagnia di Antonio.
Inizia un travagliato malessere che risolverà essere Amore...ma il padre e la matrigna la chiuderanno in casa e da lì a poco, sventata l'epidemia, la costringeranno a tornare a Catania. Il matrimonio della sorellastra Giuditta con l'amato Antonio sarà la morte e l'accettazione dei voti un vero e proprio funerale. Maria non si riprenderà più, starà sempre peggio, e impazzendo (letteralmente) di dolore proverà la fuga per raggiungere l'uomo amato e la libertà ma alla fine morirà.


Rosy Bonfiglio intraprende un monologo che è anche dialogo col pubblico che scava nelle sue radici culturali ma anche verso le fondamenta del nostro inconscio collettivo. La mimica facciale e le contorsioni del corpo, l'esaltazione gioiosa e i baratri di tristezza dell'attrice assalgono selvaggiamente gli spettatori che non possono fare altro che restare ad aspettare cosa accadrà pendendo dalle labbra di Maria che urla di gioia o si dibatte nel senso di colpa o nel dolore.
L'illuminazione predilige le ombre e le tonalità primarie, blu intensi e rossi sanguigni...la musica di fondo apre indubbiamente baratri sul nostro Es.
Una messa in scena che apre nuove prospettive su un autore italiano rilegato al Verismo ma che assimila in questo suo nuovo corso letterario anche gli insegnamenti simbolisti e l'esperienza della Scapigliatura. (Storia di una) Capinera, pur essendo un testo del 1869 rimane pur sempre un atto profondamente critico verso la nostra cultura e la nostra concezione di civiltà che attraverso la concretizzazione teatrale di Rosy Bonfiglio riprende vita nell'atto introspettivo della protagonista dimostrando quanto quest'analisi inconscia sia ancora drammaticamente reale ed emotivamente valida.

 


Fabio Montemurro
2 febbraio 2016

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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