Recensione dello spettacolo Genesi, in scena al teatro Lo Spazio dal 13 al 16 dicembre 2015
Si alza il sipario e...musica: perché forse è proprio così che tutto ebbe inizio. Musica e suoni melodici, dunque, i quali, nascosti da un gioco di ombre e colori, demiurgo di forme, vibrano cadenzati attraverso gli squarci cosmici di un universo ancora in fasce. Quindi la parola che inizialmente ancora fusa e confusa con l'armonia, nasce canto: lenta litania delle ore che trascina per mano l'uditore, senza soluzione di continuità, in un'era ormai pronta e che sta, pian piano per ergersi e per diventare racconto, favola e mito.
La parola che si fa uomo, che fa l'uomo e che apre gli occhi sul palcoscenico di quell'epopea sempre in bilico tra leggenda, credenza e speranza: con “Genesi”, presso il teatro “Lo Spazio” a San Giovanni, in concomitanza con l’apertura per il Giubileo della Porta Santa della Basilica di San Giovanni in Laterano, a due passi dal teatro, in scena dal 13 al 16 Dicembre è andato il racconto per antonomasia, ciò da cui tutto ebbe origine, narrato, questa volta, da uomini per l'essere umano stesso.
Genesi, ermeneutica teatrale dei capitoli 1,11 del libro omonimo, scritto e diretto da Marco M. Pernich, vincitore dell’ edizione 2015 del Premio Fersen per la Miglior Regia, affronta, infatti, un testo profondo e di certo non semplice. Ma la capacità del regista e dei due attori – gli eccellenti Stefania Lo Russo e Vincenzo Paladino, ottimi a calarsi con enfasi estatica in un vero e proprio mix di arti drammaturgiche, passando dalla recitazione alla danza, dal canto al racconto – di narrare con semplicità concetti che perennemente oscillano tra la filosofia e la teologia, ha reso il tutto più lineare, senza mai cadere ed inciampare nella banalità. Così il male, quel serpente annidato nell'animo umano, non solo trova spazio e diventa protagonista di una parte importante della narrazione, ma entra di diritto in quel magma embrionale da cui deriva l'umanità. Profilo e volto velato, in quanto egli assume tutte le facce possibili, strisciante ma suadente è l'emblema stesso degli eroi e dei protagonisti dei vari atti, tanto da affermare, con vezzo e piglio sferzante: ‹‹Sono l'amica non riconosciuta degli uomini››, appunto.
La storia di Caino, poi, forse la più intensa e toccante, è la storia comune di un comune eterno vivere: soldato di tutte le guerre, perennemente errabondo ed errante, condannato dall'errore atavico impossibile da eludere o da evitare; fratello di tutti i fratelli che lottano tra loro, così contemporaneo e vero da sembrare ognuno di noi.
‹‹Gli uomini prendono tutto sul serio, per sopportare la vita che rendono insopportabile. Tutti concentrati nell'illusione di raggiungere i propri scopi...››: è Noè, anzi Noah, che, accompagnato dalla moglie, parla. È appena sbarcato dall'arca e poco dopo esser sceso per guardare la terra e ammirare un nuovo inizio, sa già che non gli apparterrà. Proprio lui, poi, parla di scopi da raggiungere, lui che è stato preso e gettato nelle onde per conseguire uno scopo più alto, uno scopo inizialmente ancora vago e misconosciuto, proprio come l'umanità che si affanna, si barcamena e si strazia alla rincorsa di una chimera e sempre con quella domanda pronta nel cuore, che scaturisce nell'animo e si sostanzia nella parola: “Perché non rispondi?” perché non risponde, quindi, “Colui il quale non è possibile pronunciare il nome?”
Ed eccola la forza dei messaggi che “Genesi” riesce a comunicare, rispondendo, con le parole del regista stesso al perché avventurarsi oggi ad esplorare l'inizio di uno dei testi fondativi dell'Umanità? Perchè porsi di nuovo quelle eterne domande che mai hanno avuto e mai avranno risposta?
‹‹Forse proprio perché viviamo il tempo sciagurato e difficile che viviamo. Tempo della “normalizzazione del peggio” - com'è stato autorevolmente detto. Tempo di incapacità delle Classi Dirigenti di pensare un'uscita dalla crisi. Tempo di cecità di altre Classi Dirigenti accecate da modelli falliti ma che le hanno fatte smodatamente ricche e che quindi sono incapaci di vedere la catastrofe cui quei modelli stanno conducendo. Le grandi domande le domande fondamentali quelle che non hanno risposta ma soprattutto che ci fanno tanta paura da spingerci a evitarle hanno una straordinaria virtù: ci permettono di vedere il mondo da un altro punto di vista con una diversa scala di valori in un diverso ordine d'importanza. Oggi che non possiamo aspettarci la salvezza dalle istituzioni né dai decisori politici tanto meno dai decisori economici oggi che ognuno di noi è chiamato a trovare soluzioni personali ai problemi globali è necessario tornare a guardare alle radici del nostro mondo della nostra civiltà e del nostro essere Esseri Umani e tornare a interrogare con occhi nuovi e mente sgombra quei testi fondativi››.
Infine, citazione e lode necessaria per l'allestimento scenografico di Elisa La Mensa e, ovviamente, per le musiche che a braccetto regalano e forgiano una cornice deliziosa, incantevole ed incantata, quasi atemporale e fuori da ogni logico spazio. In scena entra e rimane protagonista sin dal prologo, una struttura ottagonale sormontata da una cupola in un intrico di linee geometriche che dan vita a quadrilateri. All'interno di questo “chioschetto” – che riaffiora quasi da una tela di Raffaello Sanzio o di un Piero della Francesca - tre musicisti appaiono in controluce solo nel momento in cui si esibiscono - le musiche inebrianti di Igor Stravinskij e del suo “Histoire du Soldat” versione per trio, eseguite da Matteo Carminati (pianoforte) Leonardo Cella (violino) e Fabio Bussato (clarinetto) che danzando al di fuori del palco, del teatro e del mondo, regalano allo spettatore immagini evocanti chiavi di lettura diverse, dimensioni artistiche e concettuali che si intrecciano quasi a voler fondere culture, credenze e religioni: la forza della “Genesi”.
Federico Cirillo
21 dicembre 2015