Domenica, 24 Novembre 2024
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Fuckin’ idiot: riuscita e rischi nell’espressione di un movimento

Recensione dello spettacolo Fuckin’ idiot, in scena al teatro Studio Uno dal 10 al 20 dicembre 2015

Da un’idea di Federico Cianciaruso, Cristiano Di Nicola e Simone Giustinelli, debutta al teatro Studio Uno: Fuckin’ idiot, lo spettacolo che vuol portare in scena il rapporto del movimento ultras col potere e l’ordine costituito.
Una sfida ardua quella di rappresentare una delle controculture più dibattute di sempre, una categoria che si sgancia dagli incastri della categorizzazione, un fenomeno che può essere considerato una vera e propria “controcultura” (per citare Marco De Rose). Immediato. Lo scenario e l’ambientazione proiettano direttamente all’interno della storia. Si entra in platea e l’impressione è quella di muoversi in una dimensione privata, siamo ospiti di un habitat personale e specifico: un monolocale, il monolocale di un tifoso. L’azione si svolge tutta lì, fra una poltrona frontale a un televisore, un tavolo con varie latte di birra sopra e diversi elementi che rimandano a una sicura passione calcistica.

 

Lo spettacolo inizia, vi sono suoni, dirette di partite e immagini proiettate sul fondale, immagini di storia del calcio che si alternano con immagini degli spalti e delle tifoserie. La musica va in crescendo, sempre più insistente e carica, e all’aumento del ritmo corrisponde la proiezione di immagini più concitate, le curve esultanti, cori e movimenti di braccia coordinate, scontri fra tifosi e forze dell’ordine. Fra questo turbinare, sempre più accelerato, di suoni e immagini, fa ingresso il protagonista. Jeans, canotta, passamontagna e incappucciato, con cinghia in mano e posa ferma. Conosciamo così Sandro, un ragazzo che vive di passione per il calcio, che lavora durante la settimana e la domenica la tiene libera per “seguire il pallone”. Non un tifoso e basta, ma un appassionato, un sostenitore della squadra, un ultras. Nell’evoluzione dello spettacolo vi sono commenti del protagonista, una diretta televisiva dove si capiscono i vari giochi e raggiri delle società calcistiche, telefonate a presidi delle società, delusioni e rancori accumulati, insoddisfazioni per il marcio del potere che fa avvertire il suo maleodorante odore anche nella gestione sportiva. Lo stadio, intanto, diviene la proiezione di una realtà più vasta e quotidiana, dove ci vogliono omologati e quindi manipolabili. “Siamo uguali nella mischia e vogliono vederci così”. Mostrandosi, però, come “una sciarpa in mezzo ad altre 50.000 sciarpe, un puntino che salta, canta, urla a squarciagola per 90 minuti alla settimana” l’attore incappa in un rischioso fraintendimento. Se è vero che è facile esser vittime di omologazione e massificazione, è vero anche che il movimento ultras rifugge, idealmente, questo pericolo e si batte anche per mantenersi massa pensante (se si parla di chi veramente mantiene la mentalità ultrà).

È il rischio che si corre quando si inscena un movimento sociale delicato, soggetto a numerose critiche, una subcultura ricca di sfaccettature, piena anche di contraddizioni e di lati positivi che nella messa in scena possono non esser colti. Lo scopo dello spettacolo è quello di indagare sulle logiche che nascono fra movimento ultras e potere, mostrando, saggiamente, come gli ultras sono da sempre costretti a confrontarsi con un potere deviato che applica abusivismo e non tolleranza, inoltre esprime la difesa di un libero pensiero e dell’individualità che deve preservarsi. Infatti, il gruppo ultras e il movimento ultras sono sinonimo di mentalità, aggregazione e condivisione. Questi elementi rischiano di essere lasciati al margine dello spettacolo, il quale lascia spazio solo alla frustrazione, che effettivamente in molti subiscono a causa dello scontro con le realtà repressive e cavillose, ma che qui sfociano nella rappresentazione di un individuo plasmato, quasi, dall’avversione. Sulla scena quindi la giusta immagine di un ragazzo il cui disagio si riversa poi nella vita, che subisce un potere meschino, ne avverte il disagio e la frustrazione, la proietta anche nel suo reale, ma resta vittima però di quell’insoddisfazione tanto da scaricarla nel quotidiano sociale. Qui sta la rottura con una mentalità che l’insofferenza di certe dinamiche la scarica nel giusto contesto e consapevolmente, quindi si rischia di rovinare l’immagine di un movimento che la rabbia la sfoga ma la canalizza anche nel giusto contesto, spesso trasformandola in attivismo.

Quindi gli insulti continui che il protagonista riversava verso una vicina di casa insistente rischiano anche di alimentare lo stereotipo dell’ultras come elemento cattivo, buono solo a riversare il proprio disadattamento e la propria frustrazione nella vita, un incivile carico di aggressività e rabbia. Immagine dannosa per tutte le persone che fanno di una passione un ideale e lo vivono in maniera genuina, seguendo la squadra sempre, che si vinca o si perda, supportando il senso positivo di collettivismo, spesso aderendo anche a cause sociali, applicando violenza non gratuita, ma praticando rispetto e reagendo o difendendosi se questo rispetto viene a mancare. Il fomento tipico di gioia e rabbia di un ultras sono amore vero che brucia, e risultava molto più comunicativo nelle cinghiate brutali che il protagonista scaricava e assestava piuttosto che nella recitazione carica di insulti un po’ forzati e impostati. Lo scontro, la lotta, l’antagonismo sono potenti e belli se veri e sentiti. Una prova e un impegno evidenti quindi quelli di Fuckin’ idiot con inciampi comprensibili, se si pensa che prima di rappresentare una qualunque faccia di una cultura o subcultura bisogna indagarne tutti gli aspetti, onde evitarne fraintendimenti e messaggi mancati.


Erika Cofone

14 dicembre 2015

 

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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