Recensione di The Bassarids in scena al Teatro Costanzi il 27 e 29 novembre 1, 3, 5, 10 dicembre 2015
Torna in scena dopo 48 anni I Bassaridi, opera in quattro movimenti composta nel 1965 da Hans Werner Henze su libretto di Auden e Kallman, ed è stato come se fosse stata una prima nazionale assoluta.
L'opera del compositore tedesco è un originale rifacimento delle Baccanti, ultima tragedia di Euripide, che mostra il conflitto tra Dioníso, che rappresenta la vitalità primigenia e la libertà di esprimere la passione umana senza vincoli , e Penteo, che idealizza l'ordine mistico e l'agire razionale e controllato dell'uomo che vuole impedire (ma fallisce nel suo intento) al dio vendicativo di disgregare i principi etici e sociali ideali della città di Tebe.
Un dramma dove il coro, riassumendo la funzione etica propria della cultura greca antica, diviene l'elemento propulsivo dell'azione drammatica, assumendo a livello compositivo/esecutivo i caratteri veri e propri di un Requiem bachiano e nei momenti commentativi in cui Penteo entra più in stretto contatto con la Morte i toni chiaroscurali e sacrali del canto gregoriano.
La regia di Martone, molto accurata, fa svolgere la storia in un paradosso temporale a metà tra Grecia antica e moderno regine militaristico del primo Novecento.
La scenografia molto curata punta sul piano visivo al dettaglio, al piccolo particolare che va a impreziosire nell'insieme tutta la messa in scena. Sul piano più propriamente scenografico (in funzione della narrazione) fondamentale la metafora dello specchio (rivelatore dei misteri orgiastici a Penteo) emblematizzato dal fondale scenico in lamiera metallica che nel suo riflettere fisicamente la scena e il pubblico in sale attua una vera e propria onirica distorsione nonché una rottura della quarta parete in quanto il riflesso di chi assiste diviene elemento scenografico e quindi parte integrante della scena.
Innumerevoli i riferimenti all'Art Nouveau che culminano nel sensuale ricongiungimento finale del vittorioso Dioníso con la madre Semele richiamata dal regno dei morti per ascendere all'Olimpo con il figlio.
Pessimistica e per certi aspetti ancora molto attuale la conclusione dove il coro si prostra ciecamente davanti alle statue/sarcofago di Dionisio e Thyrone sospese nel cielo.
Un'opera tragica che riflette contestualizzata al momento storico in cui venne realizzata i turbamenti e le problematiche di una società (mittel)europea che aspirava realmente a un cambiamento politico e sociale in meglio pur non riuscendoci (l'esilio volontario per divergenze ideologiche di Henze in italia ne è una delle tante dimostrazioni).
Decontestualizzata all'oggi come ha avuto modo di sottolineare lo stesso Martone "Al contrario di tante altre opere che offrono catarsi e risoluzione dei conflitti tragici, qui non c'è soluzione, non ci si può schierare, tutto è oscuro tutto e mistero. L'urlo senza parole di Penteo è anche il nostro".
Fabio Montemurro
7 dicembre 2015