Recensione dello spettacolo Sorelle di Davide Strava in scena al teatro Sala Uno dal 20 al 22 novembre 2015
Subito, la scena ci accoglie in una dimensione ludica, con al centro del palco oggetti sparpagliati, i giochi di bimba delle due protagoniste: cestini di latta, gessetti, due sgabelli ed altre chincaglierie (come ad indicare che dietro qualsiasi oggetto per un bambino si nasconde un universo fantastico).
Siamo all'interno del mondo di “due sorelle di vita”, Antigone ed Elettra che tanto hanno sofferto fin dalla nascita a partire dalle relazioni familiari e poi con il resto della società.
Lo spettacolo prende spunto dal mito di Sofocle e così ci appaiono le due donne ribelli e dissidenti, capaci di uccidere e sacrificare il proprio sangue per amore del giusto contro ogni legge divina.
Le due donne sono cresciute dovendo obbedire alle convenzioni sociali.
Il soffocato amore di Elettra per il fratello la porta a vivere in un stato di autismo affettivo, Antigone invece cerca attraverso l'esplorazione della sua sofferenza di trovare consapevolezza in nuovi valori.
Il gioco di luci mette in risalto le doti mimiche delle due protagoniste Sarah Blacchi per il ruolo di Elettra e Viola Graziosi nelle vesti di Antigone.
Le musiche ci accompagnano dall'inizio al termine della piece in una dimensione di pathos e compartecipazione ai sentimenti delle due protagoniste.
Il gioco delle due bambine che prima disegnano la campana e poi si truccano, segna il passaggio dall'età infantile causa dei traumi delle due, all'età adulta in cui si giunge alla resa dei conti.
Elettra denuncia l'abuso subito e s'identifica al ruolo che preferisce, spiegando che il suo modo di vivere mai potrà essere stabilito e scelto da qualcuno tantomeno dal padre che ama profondamente.
Antigone invece comprende la complessità dell'effimero e l'impossibilità di dare un ordine alla natura della contingenza, tanto che accetterà anche la morte per il solo gusto di aver potuto vivere.
Il dialogo tra Antigone ed Elettra assume una profonda enfasi quando quest'ultima mascherata finge di essere la madre dell'altra e così le rispettive paure e vergogne spiegano la complessità di un rapporto familiare imposto, quindi non espressamente desiderato, come spesso accade anche oggi.
Attraverso il mito riviviamo la lunga e complicata esperienza di vita di due sorelle che cercano di risolvere i perché della loro esistenza, in quelle situazioni in cui non è stato possibile maturare protette da quello che normalmente è un confortevole contesto familiare e lì dove l'impeto ha preso il sopravvento e facendo degenerare il tutto nella peggiore delle conclusioni, qual'è la morte.
La famiglia per entrambe ha costruito le basi della propria incertezza ed è stato un elemento da cui difendersi perché origine di attacchi e continui contrasti e non riconoscendo questo come valore, anche gli altri perdono di significato mostrando la fragilità dei più alti ideali.
Lo spettacolo per la regia di Davide Strava pone l'accento sul dialogo a volte delirante, altre ai limiti dell'assurdo tanto da apparire anche più lucido per la sconcertante verità delle sue affermazioni.
Il tutto scuote e fa riflettere il pubblico, non solo il pubblico femminile, che può riconoscersi o riconoscere qualcuna nelle sue protagoniste ma anche quello maschile per la paradossale natura che può assumere l'esistenza di qualsiasi individuo, che si chiede perché è nato e quale sia la sua funzione per se stesso e per coloro con cui entra in relazione, già all'interno della propria famiglia.
Silvia Doria
26 novembre 2015