Recensione di Grand Guignol all’italiana, in scena al teatro Eliseo dal 17 al 29 novembre 2015
Entriamo a teatro qualche minuto prima dell’inizio dello spettacolo e notiamo subito che le poltrone della sala grande dell’Eliseo sono prive di molte teste. Dopo il successo ottenuto con l’Ivanov di Cechov secondo Filippo Dini, che ha registrato un’alta affluenza ad ogni replica, questo è già il primo sentore di una messa in scena che, effettivamente, alla fine non ci ha convinto.
Ci troviamo nel soggiorno di una famiglia borghese. Esterina (Lunetta Savino) è la colf dei coniugi Umberto (Umberto Bortolani), guida turistica che pensa solo al guadagno e Stella (Carmen Giardina) insoddisfatta, isterica che lo tradisce col suo ginecologo (anche questi si chiama Umberto). Nel corso di una mattinata che apparentemente sembra uguale alle altre la bolla di menzogne propria di quella casa esplode e con essa le maschere cadono. Umberto scopre che Stella la tradisce mentre l’irruente, invadente salumiere del negozio sotto casa (Andrea Lupo) finalmente si dichiara ad Esterina. Quest’ultima però cerca a sua volta di trovare il coraggio per dichiararsi al postino, anche questi si chiama Umberto (Sebastian Gimelli Morosini), che poi si scoprirà gay. I cinque personaggi si ritrovano così insieme ed infelici pronti a riversarsi addosso reciprocamente tutti i loro disagi. Sarà Esterina a trovare la soluzione, perché non partecipare al concorso sentito in televisione per cambiare l’inno d’Italia? In che modo? Chi scriverà il testo più bello sulle note del Va pensiero di Giuseppe Verdi vincerà venti milioni di euro.
Il richiamo della cupidigia però riesce a far sì che l’equilibrio fra loro duri solo qualche momento in più. Il tentativo di scrivere insieme il testo svanisce quando, spinti dall’odio verso gli omosessuali, il salumiere ed Umberto (il marito) si accaniscono contro il postino fino a quasi ucciderlo. E’ a questo punto che vediamo invadere la scena da una Lunetta Savino in versione Batman. No, non si tratta di un omaggio al supereroe DC in occasione del suo settantacinquesimo compleanno. Esterina rimette su una maschera, quella del vendicatore oscuro. Quella che sembrava una timida, seppur furba, colf diventa artefice di un massacro in puro stile Grand Guignol; nessuno sarà risparmiato, nemmeno quel cane che irrompe sulla scena senza mai entrarvi. Tanto alla fine basta far finta di esser pazzi…
L’impianto scenografico, curato da Matteo Soltanto, è essenziale e poco sfrutta le potenzialità del palco dell’Eliseo. Se l’intento di Alessandro D’Alatri era quello di cogliere nell’opera di Vittorio Franceschi la decadenza, grossolana e cinica della classe borghese dei nostri tempi, in stile per l’appunto da Grand Guignol, allora ci è riuscito. Però, nonostante la presenza di Lunetta Savino (celebre nelle fiction targate Rai Uno) e la voce di Paolo Bonolis (speaker di una televisione che regala evanescenti speranze), il pubblico non viene attratto da un testo carico di inutili giochi di parole (come nel caso della ripetizione del nome Umberto), colmo di stereotipi e poco capace di indagare, veramente a fondo, le problematiche che ogni personaggio si porta dietro.
Enrico Ferdinandi
27 novembre 2015