Recensione dello spettacolo L’infinito Giacomo: vizi e virtù di Giacomo Leopardi, in scena al Teatro Arcobaleno dal 22 al 25 ottobre 2015.
Un importante ingresso sul palco dell’Arcobaleno, teatro dove si sono esibiti grandi nomi. La potente e comunicativa regia di Giuseppe Argirò, assieme alla bravura dell’immedesimato Giuseppe Pambieri fanno rivivere, in forma inedita, una delle massime penne della letteratura e del pensiero italiano.
Un leggio solo su un palco spoglio, dalla scenografia assente, un fondale di luci e l’ingresso dell’unico attore accompagnato da aree classiche. A calcare la scena un grande artista, Giuseppe Pambieri, attore di fama, interprete di numerosi ruoli, fondatore della premiata ditta Pambieri-Tanzi (quando ancora si formavano le ditte, un concetto storico, “come si diceva una volta in teatro quando attori prestigiosi si univano formando compagnie rimaste nella storia del palcoscenico … sodalizi intellettuali e pratici”).
Pronto a calarsi in una nuova veste, Pambieri immedesima per noi Giacomo Leopardi e con la sua voce calda e sicura trasporta la platea nel mondo dello scrittore e poeta recanatese. Lo spettacolo, che porta la firma di Argirò, è portatore di un teatro dove si innesca il piacere della lettura e dell’ascolto, dove l’attore sfida da solo il palco destreggiandosi tra pezzi della quotidianità di Leopardi e sue poesie incastrate fra tasselli di vita. Uno sfogliare ricordi, una vita narrata, una biografia recitata senza momenti di calo che potrebbero appesantire un racconto. Una riuscita interpretazione e descrizione dei fatti, dove si alternano passaggi giocosi, simpatici quadretti, a momenti più contemplativi, quelli del Passero solitario, della Siepe, della Ginestra, i momenti emozionali del poeta, quando compone e sente il suo essere in armonia e disaccordo col mondo.
Talora un sottofondo di Mozart, di Bach e altri immensi autori, impreziosisce la scena, qualche data citata, di tanto in tanto, così per tracciare un lieve filo cronologico dove può muoversi la voce di Pambieri che cattura e trasporta negli spaccati di vita sconosciuti e nei desideri piccoli e quotidiani di Giacomo. La sua golosità, la repulsione del poeta bambino per il bagno con l’acqua fredda, i rituali, la biblioteca e i debiti del padre, il conte Monaldo, e la rigidità della madre. Attimi che svestono per un attimo il poeta dall’alone di cui sono circondati in genere i poeti e gli uomini passati alla storia. Ci ricorda questo monologo come anch’essi sono umani nutriti di piccole gioie e piccole fobie, e proprio queste espressioni dell’essere sono terra fertile per la loro anima , per il loro modo più sensibile di sentire. Su questa essenzialità e si forma il loro animo.
Assistiamo a un Leopardi denudato, mai conosciuto prima, un precoce genio che una volta spogliato è pronto poi per essere riconsegnato alla sua grandezza. Il filosofo dello scetticismo ragionato, i pensieri sul fato, sulla natura madre e matrigna, su “l’infinità vanità del tutto”, il suo dolce naufragare in questo mare. Una tristezza e un dolore privi di grigio annichilimento, carichi comunque di bellezza , di un senso alto dell’amore e dell’ardere, “se il desiderio possedesse veramente il suo soggetto non avrebbe ragione di esistere”, ecco che in realtà non possiamo possedere totalmente e completamente, diverremmo spenti, invece dobbiamo febbrilmente donarci a questa malattia amorosa: “L’amore è una malattia, vedete infatti in me qualcosa di non malato?” recita Pambieri. L’uomo inquieto e appassionato, dagli arrovellanti pensieri di conclusione pessimista e comunque sostenitore di attimi di contentezza e esultanti inni alla vita, conquista dunque il pubblico dell’Arcobaleno.
Grande apprezzamento finale, infatti, per lo spettacolo sul poeta che Argirò, con le sue stesse parole, ci presenta così: “Leopardi, affettuosamente Giacomo, nel nostro viaggio, non appare così distaccato e lontano dai piaceri terreni, non ci sembra affatto disinteressato a ciò a cui aspira la gente comune. Giacomo è vulnerabile, ansioso, riservato, schivo, eppure è pervaso da un desiderio inesauribile di vita. Giacomo è goloso, non può fare a meno di dolci, cioccolata, paste alla crema e gelati. In questo ricorda Mozart, altra creatura divina nella sua sregolatezza. La biografia romanzata che esce dalle pagine dell’Epistolario e dello Zibaldone ci aiuta a costruire un ritratto singolare ed inedito del nostro poeta.
Leopardi, con grande sincerità, confessa le sue paure come la sua fobia per l’acqua, un fastidio che giungerà al parossismo e alla comicità, culminando nel rifiuto del bagno almeno settimanale. Non mancano gli spunti divertenti per riflettere sul suo rapporto con l’eros e la sessualità. Nelle sue stesse parole, il desiderio di una vita normale è incessante: il dono della poesia appare spesso come una maledizione divina che lo segna come diverso, lo condanna a una sofferenza eterna e lo affranca contro ogni sua volontà dal mondo che lo circonda. Leopardi non è tutto nella sua poesia. La sua ricerca affettiva attraversa i secoli e incontra una disperata umanità che per sopravvivere alla storia che avanza, non può che stringersi in una solidarietà reale che diventa l’unica possibilità di sopravvivenza, ancora oggi per tutti noi”. Applausi.
Erika Cofone
27 ottobre 2015
Informazioni
L’infinito Giacomo. Vizi e virtù di Giacomo Leopardi.
scritto e diretto da Giuseppe Argirò
con Giuseppe Pambieri