Recensione dello spettacolo Belle Bandiere in scena al teatro Kopó dal 15 al 18 ottobre 2015
Belle bandiere, è un titolo dall'indubbia valenza ironica se pensiamo a tutti quelli che sono i personaggi e i simboli politici a cui il protagonista fa riferimento nel suo lungo elenco ma che col tempo rischiano di restare solo vessilli di una sterile protesta, considerato il punto critico a cui il movimento è giunto.
Lo spettacolo si svolge in forma di monologo: l'unico personaggio in scena è Emiliano Valente che interpreta il ruolo di un giovane manifestante che rivolge ad una fantomatica passeggera le sue perplessità e considerazioni sull'ultima manifestazione a cui ha appena finito di partecipare.
Sulla scena vediamo un divano rosso (forse a ribadire l'orientamento politico di cui si sta parlando?) dove va a sedersi il nostro stanco ma ancora sovreccitato manifestante. Si, perché il nostro personaggio, mentre colloca ai suoi piedi la bandiera che si porta dietro, prende subito spunto per spiegare il perché della sua presenza in treno.
Inizia così a raccontare i momenti appena vissuti, l'agitazione che lo ha coinvolto e l'emozione provata in questa ed in altre manifestazioni di protesta alle quali ha preso parte.
Non si limita però soltanto ai cortei e alle azioni sovversive, ma dedica attenzione anche a tutti quegli incontri che hanno rafforzato la sua immagine di membro di uno schieramento come l'appartenenza ad un collettivo e l'abnegazione che ne richiede.
Così con un fiume di aneddoti su compagni ed episodi si delinea la sua vita di "protestante" giunto alla soglia dei trent’anni con aspettative che lo accomunano ai suoi simili ma lo differenziano per il dubbio che comincia ad insinuarsi.
Che abbia perso soltanto del tempo dietro a queste bandiere? Potrà mai effettivamente consolidarsi l'ideale di un gruppo che poi tanto gruppo non si dimostra, viste le frammentazioni che ha subito nel corso del tempo?
La dissacrante ironia con cui gli episodi vengono raccontati non può che far ridere, e attenzione non diciamo sorridere, ma ridere di gusto, data l'ilarità con cui il pubblico a più riprese esprime il suo consenso.
Certo a conti fatti è allarmante che si possa ridere delle incongruenze che rendono paradossali la costruzione di questi ideali ma forse l'uomo è anche questo: un uomo che deve definirsi “essere umano” per non creare dei fraintendimenti ed offendere il genere femminile.
Ma ridiamo, ridiamo a bocca larga... forse è tutto uno scherzo!
Silvia Doria
17 ottobre 2015