Sabato, 23 Novembre 2024
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L'Esposizione Universale: la speranza dell’E42, al Teatro India

Recensione dello spettacolo L’Esposizione Universale in scena dal 30 settembre al 18 ottobre al Teatro India.

Il testo venne pubblicato nel 1950 dall’editore Vettorini e nel 1959 da Laterza, in un volume ormai introvabile. In Italia non è mai stato rappresentato a causa della censura e si ricordano, infatti, solo le letture pubbliche interpretate da Vittorio Gassman nel 1950, da Giorgio Albertazzi nel ’51 e infine dallo stesso Piero Maccarinelli, regista e curatore dell’impianto scenico, a Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 1994.

Lo spettacolo racconta le vicende di un gruppo di sfollati, rifugiatisi tra le bianche mura degli edifici incompiuti che dovevano ospitare l’E42, l’Esposizione Universale Roma. I protagonisti si muovono in questo campo profughi improvvisato dove si condivide tutto, a partire dal cibo fino alle proprie paure e angosce. Ci troviamo nella Roma del 1946: i personaggi si muovono in questa cornice di disperazione e di caos che caratterizzarono l’Italia subito dopo il conflitto mondiale: ognuno dei personaggi si porta dietro le conseguenze e i disastri della guerra, per qualcuno può essere una ferita di guerra, per un altro la caduta degli antichi valori di rinnovamento e rinascita e per altri un futuro incerto e oscuro. Il lavoro scarseggia, il cibo anche, tanto che spesso sono costretti a raccogliere ciò che cresce nella campagna circostante. Ognuno cerca di arrivare alla fine del mese tra un lavoro saltuario e l’altro e c’è anche chi tira avanti grazie ai regali di un amante segreto. Nonostante tutti i disagi della convivenza, la vita nell’E42 non sembra terribile come negli altri campi profughi, tanto che gli edifici vengono occupati da più di mille persone e si creano famiglie, legami affettivi e anche un comitato con a capo un responsabile giovane e pieno di buoni propositi per il futuro.

L’idea era quella di creare, sugli scheletri di quei palazzi occupati, un vero e proprio quartiere atto a contenere tutti i profughi della Capitale, o comunque la maggior parte di loro. Si crea un microcosmo, abitato da personaggi molto diversi tra loro, sia per le variegate ideologie politiche che per la composizione sociale, ma la vita in comune li fa collaborare, interagire, li sprona a cercare un futuro più roseo per i propri cari. La speranza pervade la vita dei protagonisti, ma i sogni degli sfollati vengono distrutti sul nascere dalle speculazioni edilizie di un gruppo di privati, interessati alla ricostruzione del quartiere, interrotti a causa della guerra, in previsione del Giubileo del 1950.

L’opera venne scritta da Luigi Squarzina tra il 1945 e il 1948 e vinse il Premio Gramsci nel 1949, attribuito da una giuria composta da una rosa di personaggi illustri tra i quali Orazio Costa, Eduardo De Filippo, Stefano Landi, Vito Pandolfi, Paolo Stoppa e Luchino Visconti. Il dramma è strutturato in tre atti e si svolge esclusivamente all’interno del campo profughi. Sullo sfondo vengono mostrate delle suggestive immagini d’epoca fornite dall’Istituto Luce, che danno un’idea sulla bellezza e sulla monumentalità del progetto originario. Le canzoni, cantate splendidamente, intramezzano i passaggi da un atto all’altro e immergono perfettamente il pubblico nel periodo storico dello spettacolo.

La pièce teatrale mette in scena un testo forte, d’impatto, dipingendo un affresco molto realistico di un paese appena uscito da un conflitto terribile e lacerante. La voce degli sfollati ci fa entrare a contatto con una realtà che sembra lontanissima da noi, ma di cui ancora portiamo i segni evidenti. Questa continua lotta per la sopravvivenza contro i più “forti” ed i più furbi, rimane attuale ancora oggi, per motivi differenti e con un contesto storico più moderno, ma spesso sempre con le stesse tristi conseguenze. Gli attori portano avanti con eleganza e maestria due ore e mezza di spettacolo, ma la storia è talmente avvolgente, i personaggi ben caratterizzati che il tempo sembra fermarsi e lo spettatore si ritrova avvinghiato alle vite dei protagonisti, piange e gioisce con loro, rimane incatenato alla sedia e si ritrova proiettato anch’esso nei giganteschi bianchi palazzi dell’Eur, lottando fino alla fine in nome di un futuro migliore per tutti.

 

Veronica Mancino
13 ottobre 2015

 La Platea, la rivista dedicata al mondo del teatro e dell'arte. Registrata al Tribunale di Roma, n° 262 del 27 novembre 2014
 

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