Recensione de I was looking at the ceiling and then I saw the sky in scena dall'11 al 17 settembre 2015 al Teatro Costanzi di Roma
"In una mattina di sole, molto prima che la California
adottasse leggi come quella sui recidivi (Strikes Law)
o quella sugli immigrati irregolari ("gli indesiderabili")
John Adams, Peter Sallars ed io ci eravamo ritrovati per
cominciare la nostra collaborazione. Il nostro accordo si è
cementato attorno al tema dell'amore. In realtà è questo
sentimento che ha guidato il nostro lavoro, dall'inizio
alla fine. Tra di noi non c'è mai stato il problema della
politica e dei conflitti. Ci chiedevamo invece: "Chi è
quest'uomo?", o "Chi è questa donna?", e "Perché si conoscono?"
(Scosse del cuore/Scosse della terra, June Jordan, 19 aprile 1995)
Aspettando l'apertura della stagione 2015/2016 la direzione artistica del Costanzi ci regala I was looking at the ceiling and then I saw the sky songplay nato nel 1994 dalla collaborazione tra John Adams, Peter Sallars e June Jordan e che, a distanza di vent'anni, nella prima italiana è firmato Giorgio Barberio Corsetti/Alexander Briger.
Senza soffermarsi troppo sulla trama: Nella San Francisco di metà anni '90 si intrecciano le vite e le storie di tre donne e quattro uomini di etnia ed estrazione sociale differenti. Inizialmente i loro rapporti sono di un certo tipo, poi l'arrivo di un terremoto sconvolgerà la città e anche le loro vite prenderanno tutte una direzione differente da quella inizialmente intrapresa.
Scenografia reale minimale, assemblabile e smontabile al variare della scena e delle situazioni, illuminazione per lo più omogenea e monotonale di supporto ai contributi digitali, scenografia virtuale, realizzata attraverso le mappature di proiezioni della factory Officine K, ricca e dettagliata, piena di soluzioni visive e mai noiosa, caratterizzata da una prima parte più figurativa e ironicamente spensierata e da una seconda parte più astratta e riflessiva.
La musica di John Adams, ottimamente diretta da Briger e magistralmente eseguita da un'orchestra sui generis di soli sette elementi con diversi strumenti che esulano dalla concezione classica di musica operistica, mette in luce all'ascolto come realmente Adams si sia ispirato, nel comporre, alla musica della sua giovinezza creando un particolare mix di pop rock soul r & b funk disco music dalle quali ogni tanto trapela qualche accenno di minimalismo e d'avanguardia classica ma che in realtà non è nulla di tutto questo messo insieme ma qualcosa di unico irripetibile e policromatico.
Alexander Briger durante la conferenza stampa aveva raccontato con entusiasmo come "i Pink Floyd e Michael Jackson sono semplici, John Adams li rende difficili” dopo aver assistito alla messa in scena e quindi aver ascoltato anche il tutto non gli si può dare torto e la prima impressione a caldo è stata di aver sentito (per fare un paragone comprensibile) gli Yes “suonati bene”.
Il Teatro dell'Opera di Roma si apre al secondo '900 e al contemporaneo. Parte della critica e del pubblico ha “storto il muso”, l'altra parte invece galvanizzata dalle ottime regie, esecuzioni e interpretazioni non può che essere felice dell'inizio di questo nuovo corso.
Fabio Montemurro
13 settembre 2015