Recensire Rezza, Antonio Rezza, è cosa ardua e va ammesso sin da subito. Come recensire, d'altronde, chi con l'arma del linguaggio, più che con quella della pura linguaI, chiamando in causa Saussure, si appropria magistralmente di palco, scena, pubblico e teatro tutto? Con quali armi descrittive, ipotattiche e paratattiche descrivere e incastrare su carta lui che, incastrato e disincastrandosi dalla magnifica scenografia di teli e quadri di stoffa, preparata a puntino, come sempre, dalla sodale Flavia Mastrella, dinoccolato e armonioso nel suo stesso schizzare da un lato all'altro del palco, sfugge, appare, scompare e riappare sotto, sopra, a destra e dietro la trama stessa? La trama, già. La trama è Rezza stesso, come il titolo del suo spettacolo, opera del 1998 e riproposta il giorno 16 Maggio presso il teatro Comunale J.P. Velly di Formello, cita apertamente e senza nascondere nulla: semplicemente Io.
E l'io di Rezza si metamorfizza in un cerchio giallo consapevole di sè, un corpo tarantolato ed intermittente che entra in scena e accolto da un tripudio di colori e acceso dalle luci che a mano a mano lo seguono (e non è affatto facile, scheggia impazzita qual è), accende le fessure e tutti gli spazi, riempiendoli di monologhi a tratti così assurdi e variegati da saper disegnare e fotografare alla perfezione la realtà. Un Rezza, tanti Rezza: una miriade di piccoli Io che si affacciano velocemente attraverso le fessure, che si alternano dialogando, con se stessi e con il pubblico, schernendo, istrionicamente, sia gli spettatori, complici audaci e benevolmente attratti nella ragnatela di paradossi creati da quel genio tarantolato, sia, in fondo, anche se stesso, con così rapidi e repentini cambi di scena, di paesaggi immaginari e immaginati e di situazioni - ironicamente complesse o semplicemente nude e crude - che vien da chiedersi, "ma questo Rezza, ci fa o ci è...geniale?".
Insomma, noi della Platea, consigliamo assolutamente, almeno una volta nella vita, di andare ad assistere all'opera di Rezza, di viverla appieno giocando con lui, lasciandosi completamente avvolgere dalla sua realtà scenica e dai suoi quadri di tela che, attorno alle sue smorfie, alle sue voci, che galleggiano tra le cadenze dialettali e gli arguti giochi dialettici, assumono le sembianze di paesaggi e realtà sempre differenti e sempre talmente assurde e inimmaginabili da sembrare...vive. Attraverso e per mezzo dell’incontro-scontro tra gli ingranaggi narrativi, surreali e volutamente anarchici, Rezza dà vita, avvalendosi degli oggetti della Mastrella, all’atto finale. L'apice che porta in scena lui e il suo corpo manipolato e manipolatore capace di diventare demiurgo e creta in ogni momento, con un testo capace di annientare ogni regola narrativa al di fuori di qualsiasi connessione logica.
Insomma questo è Rezza e questo è IO: Io che parla con il pubblico, che gioca con lo spettatore, lo interpella e lo zittisce, lo doma, lo cerca, lo cavalca, lo mangia, lo divora, lo mastica e poi...sputa, ma per davvero è! Un dominio comico quello che l'attore attua sul suo pubblico per poi liberarlo al momento più opportuno con la brillante scintilla dell'umorismo. Il Rezza del paradosso, il Rezza anarchico, il Rezza comico, il Rezza nudo sotto la doccia, il Rezza sfrontato che "sfida Dio, sapendo di poterlo battere sul suo campo, la Parola!", insomma, il Rezza che mette una virgola o due punti lì dove gli altri sono giunti al punti, in quanto lui, ancora, ne ha di cose da aggiungere al teatro contemporaneo: semplicemente Rezza.
Federico Cirillo
20 maggio 2015