Recensione di Isla Neruda in scena il 16 e il 17 maggio 2015 al Teatro Due all'interno del DOIT Festival
"Queste memorie, o ricordi, sono discontinue e a tratti si smarriscono perché così
appunto è la vita... La mia vita è una vita fatta di tutte le vite: le vite del poeta"
(Pablo Neruda, nota introduttiva di Confesso che ho vissuto , 1974 [postumo] )
Isla Neruda è un viaggio (particolare) che, stando seduti in platea, ci trasporta negli infiniti altrove di un unico altrove.
E' un percorrere la vita e le suggestioni di un grande poeta e uomo del suo tempo: Pablo Neruda. Un pellegrinaggio attraverso versi, ricordi, frammenti, impression, suggestioni... Un vagabondaggio emotivo e corporale alla scoperta dell'uomo e del poeta, un vagabondaggio nell'animo di un uomo alla ricerca del senso di una vita e della vita.
Una messa in scena scarna ed essenziale, dove la scenografia e l'oggetto scenico diventano simbolo di ciò che si narra e al contempo emblema dell'istante di vita narrato: valigie, strumenti musicali (chitarra e violino), foglie colorate, cubi (che come in un caleidoscopio cambiano di volta in volta la loro disposizione, dando forma, passaggio dopo passaggio, agli ambienti e agli spazi dell'azione scenica).
I corpi interagiscono tra di loro e con gli oggetti scenici in una sorta di danza metafisica eppure concreta evocano tutto ciò che oggetti e parola e illuminazione non riescono a concretizzare mentre le improvvisazioni musicali del violino, sembrano voler dare voce all'anima aleggiante in sala di Neruda.
Un rivivere persone luoghi momenti storici attraverso gli occhi e la sensibilità di un uomo che ha attraversato quasi tre quarti del '900 : un'esistenza fatta di bei momenti, di amori, di brutti ricordi (l'arresto e la fucilazione ad opera dei Franchisti dell'amico Federico García Lorca), partenze, esili, ritorni...
...una vita vissuta e per questo (e non solo) una vita degna d'esser ricordata e raccontata.
Fabio Montemurro
20 maggio 2015