Recensione di Doppio sogno, in scena al teatro Quirino dal 7 al 19 aprile 2015
Non è solo il sogno del dottor Fridolin a prendere forma, ma anche le sue ossessioni, i tormenti, le cose taciute o inconsciamente pensate. La soglia tra realtà e sogno è crollata davanti agli occhi del pubblico di Doppio Sogno, scritto e diretto da Giancarlo Marinelli, tratto dall’omonimo romanzo di Arthur Schnitzer, in scena al Teatro Quirino.
Immersi in un’atmosfera favolistica e domestica il dottor Daniel Fridolin, interpretato da Ruben Rigillo, racconta alla figlia malata una storia di un principe che cerca di salvare una fanciulla, immaginando quali ruoli assegnare alla moglie Nicole e alla madre Ivana. E’ proprio il rapporto con le tre donne il motore delle sue ossessioni. Verso la coniuge, una seducente e acerba Caterina Murino, nutre una fortissima gelosia, soprattutto dopo aver saputo di un suo desiderio di fuga con un giovane conosciuto per caso; la madre è la maestosa e sicura Ivana Monti, dalla quale non riesce a liberarsi e che cerca di stringere sempre di più il cordone ombelicale; la figlia, invece, rappresenta la responsabilità disattesa di proteggerla dalla malattia. La storia s’intrica notevolmente con la morte del consigliere Bohm, l’incontro con il suo amico musicista Naktigal, possessore di un segreto che si intreccia con la sua vita.
La sequenza delle scene soprattutto, nel primo atto, sembra fornire indizi con riluttanza, garantendo una tensione continua, mentre nella seconda parte ci sono tutti gli elementi per ricostruire la linearità della storia, ma non mancano colpi scena che ribaltano del tutto la percezione di personaggi. La scenografia di Andrea Bianchi permette dei cambiamenti repentini degli interni, conducendo la storia nei diversi luoghi grazie anche alle musiche che accompagnano gli spostamenti temporali.
Vittime e carnefici allo stesso tempo,i personaggi, non sono volutamente caratterizzati ma nascondono aspetti in contraddizione, la moglie innamorata ma pronta a scappare, il medico dedito alla famiglia responsabile della morte di cinque bambini, il musicista calcolatore e sfruttato. Dietro delle maschere e dei costumi si cela la propria identità ma si rivelano le proprie perversioni. Lontani dall’immaginario di Eyes Wide Shut, film di Stanley Kubrick, i nudi e gli abiti succinti sono sostituiti dai costumi, di Teletubbies e maschere dei teneri personaggi di Winnie Pooh, curati dettagliatamente da Adelia Apolostico. La scelta di introdurre personaggi primi di rimandi sessuali e legati all’immaginario infantile si svelerà solo alla fine, quando il viaggio introspettivo nelle pieghe dell’inconscio verrà portato a termine e lì sarà semplice interpretarne i significati, sembrano passati anni, invece, accade tutto in una notte e in una mente.
Gerarda Pinto
13 aprile 2015