Recensione de Del sordo rumore delle dita trascrizione, in scena al teatro dell'Orologio dal 10 al 15 marzo 2015
Entrati in sala si rimane un po' disorientati. Al centro del palco sembra di vedere un'installazione artistica in cui i nostri volti e i nostri corpi si riflettono distorti, ma poi poco dopo essersi seduti, rassicurante, la musica di Bach fa scomparire l'illusione e dalla finestra che si apre su uno spazio buio e circoscritto un uomo e una donna sembrano volerci dire qualcosa con movimenti danzanti lenti come se l'aria fosse diventata miele.
Una dissolvenza al nero e poi iniziano una serie di dialoghi (intramezzati da dissolvenze che a volte si sfiorano) descrivono entrando nel dettaglio stati d'animo individuali e umani in rapporto alle relazioni che intercorrono tra il singolo individuo e se stesso e tra il singolo individuo all'interno del nucleo sociale.
I dettagli scenici minimali e ridotti all'osso lasciano poco spazio alla fantasia che invece è totalmente vinta dall'ambiente emotivo creato dai due monologhi che si dipanano e intersecano all'interno del claustrofobico spazio scenico.
Di cosa parlano la donna e l'uomo? Alienazione, emarginazione, rapporto madre-figlio... fame d'Amore.
In realtà, a ben guardare, non sembrano realmente parlare tra di loro ma svolgere un dialogo inconscio col riflesso l'una dell'altro dal quale emerge un dramma archetipale che è quello di ogni individuo, nel passato (recente) come oggi, perduto in una città e una società dove i riferimenti affettivi e culturali a cui aggrapparsi vengono sempre più a mancare o se ci sono, spesso è come se non ci fossero.
Per molti aspetti l'ambiente, i dialoghi e anche le suggestioni fanno pensare a Solaris, sia al testo di Stanislaw Lem sia al film di Andrej Tarkovski, poi in realtà c'è molto ma molto Pasolini che forse tanto lontano dalla poetica di Lem scrittore e filosofo non era e ci sono gli echi lontani eppur tanto vicini e tangibili della tragedia Greca e con lei di Sofocle ed Euripide.
Una messa in scena visivamente minimale ma emotivamente ricca di suggestioni che cattura l'attenzione ancor prima di iniziare e che, una volta finito tutto, fuori dal teatro continua ad occupare i nostri pensieri.
Fabio Montemurro
13 marzo 2015