Recensione de Zitti zitti, in scena alla Casa delle culture di Roma dal 3 all'8 febbraio 2015
"La musica ed il silenzio uniscono fortemente perché la musica è fatta con silenzio
ed il silenzio è pieno di musica." (Marceau Marcel)
"La musica esprime ciò che è impossibile da dire
e su cui è impossibile tacere." (Victor Hugo)
Un demiurgo un po' eccentrico e abbastanza annoiato crea l'uomo e gli mette a fianco una donna... da qui ha inizio un susseguirsi di tante storie che si alternano ed intersecano raccontandoci con umorismo e poesia, sotto una luce diversa dall'ordinario, alcuni aspetti dell'esistenza umana.
I protagonisti sono uomini e donne senza un volto nei quali spesso finiamo per riconoscerci (e nei quali ritroviamo anche aspetti di chi ci circonda) che ci narrano le loro storie. Non attraverso il nostro vuoto e superfluo parlare di ogni giorni ma con un linguaggio universale e per questo più comunicativo di qualsiasi altro: il linguaggio del corpo, con tutta la sua carica espressiva e dinamicità.
Mentre si guarda Zitti Zitti viene da pensare al periodo del cinema muto e alle slapstick comedy di Charlie Chaplin, Buster Keaton, Harold Lloyd, Stan Laurel, Oliver Hardy (quelle che da noi venivano e vengono chiamate tutt'oggi comiche) e come in queste gli stati emotivi e le atmosfere sono evocate dal commento musicale che fa da sostegno alla scena e che in simbiosi con gli attori sul palco ci fa sorridere commuovere ridere e spesso e volentieri anche riflettere.
Zitti Zitti, a mio avviso, è la realizzazione del ritorno in teatro della comunicazione attraverso un codice (comunicativo) fruibile, indifferentemente, sia per il bambino di 4, sia per l'adolescente di 16, così come l'adulto di 40 o l'anziano di 80 anni. La intrinseca e tenera bellezza ed ironica poesia di questo spettacolo ribadiscono sia quanto è importante nell'espressione di un linguaggio universale e scenico il rispetto di fondamentali tempi (di percezione) che veicolano la risposta emotiva dello spettatore, sia quanto un gesto possa esprimere più di infinite parole.
Fabio Montemurro
7 febbraio 2015