Recensione de Il diario di Maria Pia, in scena al teatro dell'orologio dal 13 al 25 gennaio 2015
" <<Senti, fratello, che cancro hai, tu?>> domandò con voce roca.
Questa domanda colpì in pieno Pàvel Nikolàevič, che già era arrivato al suo letto. Alzò gli occhi sull'impudente, e sforzandosi di non uscire dai gangheri (ma le sue spalle sussultarono), disse con dignità:
<<Nessuno. Non è affatto cancro, il mio>>
Il rosso sbuffò e sentenziò per tutta la corsia:
<<Ecco un idiota! E che l'avrebbero mandato qui, se non aveva il cancro?>>"
(Divisione Cancro, Aleksandr Isaevič Solženicyn, 1963-1967 )
Un giorno a Maria Pia, che nella vita era medico, viene diagnosticato un brutto male che rivela essere, dopo gli esami di accertamento fatti, un cancro.
Lei non si perde d'animo e continua, nonostante tutto, a condurre la sua vita di tutti i giorni con la vitalità e la gioia che l'hanno sempre contraddistinta e caratterizzata, ma con il progredire della malattia il sopravvenire, privato dell'autosufficienza la costringe al ricovero permanente in ospedale. Situazione che con l'aggiungersi di forti dosi di medicinali gli farà perdere la voglia di vivere. Da qui il vivo consiglio dell'oncologa, sua collega e amica, di redigere un diario dell'esperienza che fino agli ultimi momenti della sua vita detterà al figlio che si occuperà di lei.
Sul palco solo tre attori che incarnano la pluralità di personaggi che raccontano attraverso i loro punti di vista la molteplicità dei fatti che messi insieme come in un grande mosaico ridanno vita alla "vita" di Maria Pia.
Nel complesso assistiamo alla storia di una famiglia come tante ma in un momento critico dell'esistenza dell'intero nucleo umano e ne viviamo le vicissitudini attraverso le singole reazioni di ogni membro alla malattia della protagonista.
La bellezza di questa messa in scena, che è anche il riportare al pubblico un esperienza autobiografica, sta nel "(ri)vivere" la tragedia con serenità senza cadere nel melodramma che renderebbe tutto artefatto e priverebbe della sua intrinseca bellezza fatta di tangibile realtà tutta la storia.
Lo spettacolo quindi è strutturato come un anticlimax che partendo da un inizio che cita Shakespeare, continua dettagliato e ricco di personaggi e situazioni con un susseguirsi di virtuosismi e cambi di scena, questi man mano che ci si avvicina al finale, quindi alla Morte, vanno sempre più scemando per arrivare in fine a rappresentare il nulla con una messinscena che si fa sempre più essenziale e minimalista.
Uno spettacolo intelligente che nel suo saper dosare con sapienza momenti riflessivi e momenti più leggeri cattura l'attenzione del pubblico fin dalle prime battute.
Fabio Montemurro
28 gennaio 2015