Negli scorsi giorni -dal 25 al 30 marzo- la Sala Orfeo del Teatro dell'Orologio (Roma) ha ospitato la recita de Il re muore, celebre opera di Teatro dell'Assurdo di Eugène Ionesco (1962); codesta “novella” intimamente metafisica, itinere di passaggi attorno a un fenomeno, appunto, la “morte del re”, si rivela metafora, d'una fine o d'un passaggio, pur comunque veicolata da questa figura regale che diverrà centrale anche per il pubblico, il quale, magia del teatro, condividerà il rispetto della sua giurisdizione e quindi il pathos che intride la corte in quel momento nefasto quanto ormai atteso.
Re Bérenger, suo malgrado, è consumato da una malattia: il vero istrione è forse proprio questa “erosione”, al tempo stesso del re e del suo regno, di cui la corte che ne rimane è ormai di fatto una versione grottesca -un residuo?- anche già solo d'una minimamente opportuna formalità; e difatti attorno al re esistono ancora ormai solo poche presenze: due mogli, un dottore, una serva e una guardia. Talune che cercano di far prendere coscienza al re della verità ch'egli s'ostina a fuggire: la sua morte è ormai prossima; tal altre che paiono seguirlo nel suo cieco rifiuto della verità dei fatti, nei suoi guizzi d'orgoglio e ostinazione giungendo poi inevitabilmente allo stridere di queste due anime con passaggi non scevri di esiti ironici.
L'occasione di questo spettacolo ci offre lo spunto per accendere i riflettori altresì sull'attività di questa realtà teatrale, appunto la compagnia e il teatro Spazio 47, a cui si riconosce, fin già nelle scelte drammaturgiche, l'intrigante slancio verso autorialità interessantissime, nonché la qualità del loro lavoro.
Nata qualche anno fa in Aprilia, operazioni come Spazio 47 sono di quelle che ci fanno gioire: un'associazione culturale, recupera uno spazio in disuso, riformulandolo nella soluzione di un crogiolo di attività e spettacoli, nonché sviluppando una sua compagnia teatrale, un'attività costumistica e una produzione scenografica.
Giuliano Armini
1 aprile 2014