Da Parigi a Siviglia; dalle struggenti note melanconiche di un lieto fine impossibile da realizzare ed infranto solo dal fato avverso alle spumeggianti e allegre arie di una storia d’amore bizzarra, divertente e coronata dall’happy ending, suggello di una delle più briose “opere buffe” mai composte; dalla Traviata, insomma, al Barbiere di Siviglia, il passo è lungo: due opere diametralmente opposte ed agli antipodi della rappresentazione, sia per quanto riguarda il genere alle quali esse appartengono – un melodramma il primo, una commedia l’altra – sia per le sinfonie che per l’interpretazione scenica, ovviamente.
Filo conduttore dei due capolavori made in Italy, vessillo e simbolo dell’italica eccellenza oltre che del nazionale orgoglio, la performance impeccabile de I Virtuosi dell’Opera di Roma, i quali, dopo il primo appuntamento con Verdi e la sua Signora delle Camelie, propongono, in un turbinio di arzille melodie e festosi gorgheggi, resi celebri da Rossini, Il Barbiere di Siviglia, tratto dal primo libro della trilogia dedicata a Figaro, il protagonista, del drammaturgo francese Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Ripetendo il successo della Traviata, quindi, la compagnia, sempre diretta dal maestro d’orchestra Adriano Melchiorre, prende per mano il numeroso pubblico sin dall’incipit della deliziosa overture rossiniana, la quale predispone e prepara da subito gli spettatori ad un allegro andante. L’animo della platea, così riscaldato è premiato dalla cavatina del baritono Carlo Riccioli (nei panni di Figaro) il quale si esibisce nel brano Largo al factotum – eccellente nell’interpretazione mimica e gestuale, un po’ meno in quella canora, laddove l’orchestra sembra quasi prendere il sopravvento, nascondendo, purtroppo, a tratti, la voce dell’artista –, quindi deliziato dagli acuti energici e squillanti del soprano Sabina Leone, nelle vesti della bella e frizzante Rosina; ammaliato ed incantato dalle note possenti e profonde del Conte di Almaviva (il tenore Giuliano di Filippo) e infine divertito dalla travolgente e imperdibile aria de La calunnia è un venticello, interpretata passeggiando per il pubblico dal basso Fabrizio Nestonni (Don Basilio) e dal baritono Mauro Utzeri, impeccabile e divertente nel portare in scena Don Bartolo, reso perfetto sia nei virtuosismi canori che anche nell’interpretazione propriamente teatrale (piacevole e spiritoso in chiusura di primo atto, durante il finale Ehi di casa…buona gente…).
Un’opera fatta di travestimenti, intrighi comici, trovate buffe che, mescolando i temi classici del teatro – dalla “vis comica” di plautina memoria, sino alle improvvisazioni tipiche della commedia dell’arte – alle grandi partiture del maestro Rossini, riproposte ad hoc dall’orchestra, meritevole di lode e di una menzione speciale dopo il successo de La Traviata, vale davvero la pena di scoprire, apprezzare, ammirare e, infine, vivere appieno.
Federico Cirillo
22 aprile 2014