«Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita».
(Prospero: atto IV, scena I.)
L’illusione, la magia, l’incanto e lo scontro-incontro tra stato naturale e Stato di società, il tutto contornato da una contemporanea prorompente ironia che incalza piacevolmente tra due atti, nei quali lo spettatore, vero e proprio mare, dapprima smosso e agitato da vendicative onde e poi placato da un riconciliante sentimento di perdono, si lascia trascinare lievemente nella trama narrativa che fu del maestro Shakespeare e che Valerio Binasco, con la sua compagnia – la Popular Shakespeare Kompany appunto – ripropone in una chiave moderna, nuova e al contempo popolare.
La Tempesta, in scena al teatro Vascello fino al 16 marzo, è tutto questo.
Un intrico di umanità alle prese con le loro virtù e i loro difetti, disposta a blocchi di due, tre personaggi i quali, sparsi sull’isola, regno del duca tradito Prospero e di sua figlia, l’ingenua e dolce Miranda, vagano chi alla ricerca della salvezza, chi a quella della libertà, chi dell’amore e chi a caccia di ciò che potrebbe soddisfare la propria sete di ambizioni e potere, anche e soprattutto a discapito dell’altro: il tutto sorvegliato, manipolato e orchestrato dal desiderio di vendetta che, a mo’ di spada di Damocle, pende sulla testa dei malcapitati naufragi.
Escalation di generi, di vizi e pregi su quell’isola incantata, lì dove si ripropone, quale uno dei temi dominanti della commedia, la sfida aperta tra natura e società: il naturale stato nel quale versano i buoni, ignari e disposti alla più semplice e candida meraviglia sentimenti di Miranda – la figlia bambina di Prospero che, inizialmente chiusa in una sorta di aleggiante incantesimo atto a tenerla lontana dalle nefandezze e dalle alchimie che la mente umana sa compiere, scopre, a piccoli ma decisi passi il mondo reale – quello brutale invece di Calibano, il servo-mostro del sovrano, l’unico vero nativo dell’isola e simbolo al contempo dell’isola stessa, selvaggia, pericolosa e naturale insieme e, infine, l’aspetto magico, reincarnato in Ariel, lo spirito e l’anima dell’atollo sperduto, si interfacciano e si mischiano allo stato sociale dei nuovi arrivati, la corte di Napoli con il suo Re e l’erede al trono – il figlio Ferdinando – dove si intrecciano intrighi di potere, ambizioni, tradimenti e disperazione e il più basso scalino dell’umanità, incarnato dal “buffone” Trinculo e dal cantiniere, sempre ebbro, Stefano, due macchiette della civiltà, ritratte splendidamente da Binasco nel loro incedere dialettale, goffo, burlesco e comico.
Demiurgo delle vicende e degli avvenimenti è Prospero, quindi, interpretato magistralmente da Binasco stesso – nel doppio ruolo di regista/attore – il quale pone il suo veto decisionale e il suo controllo sopra qualsiasi cosa, quasi fosse il deus ex machina sia dell’isola che dei personaggi che la popolano; ma neanche la sua potente magia può nulla contro i veri artefici di tutto ciò che accade: i sentimenti che trascinano il duca spodestato a ricercar innanzitutto e con enorme ostinazione la vendetta contro chi gli usurpò il regno, quindi, in una sorta di viaggio catartico nel quale l’acqua, come anche commedia e tragedia greca insegnano, è simbolo di purificazione – dapprima in tempesta e agitata, quindi calma e propizia nel finale – infine, portano il protagonista, colpito dall’amore così puro e spontaneo di Miranda per Ferdinando e preso dai rimorsi di coscienza, a concedere il perdono, coronamento e suggello dell’happy ending.
La trama, i valori, i presupposti e i temi shakespeariani vengono qui ripresi, studiati, analizzati e riproposti sotto una luce che li svecchia e li rende contemporanei: mentre ci si attende un Ariel timoroso ma al contempo vivace e audace, eccolo invece tramutarsi in uno spiritello maturo, con la maglia di Superman e i mocassini blu, occhiali spessi, mani ballerine che schioccano incantesimi buffi e un cappello nero tirato sulla testa; non vola anzi, si muove con passi calibrati e lenti ed ogni spostamento, sempre in precario equilibrio costante, è un tutt’uno con la grazia comunque irresistibile che sprigiona e che diverte il pubblico. Quindi la dolce Miranda, donna-bambina ansiosa di conoscere il mondo e quindi incontrollabile sia nelle emozioni che nelle movenze: le sue gambe frenetiche sembrano non seguir le imposizioni ordinatele dal padre che lei dovrebbe rispettare e la sua curiosità desta tenere simpatie; quindi Prospero stesso, reietto duca reso pop e folk anche nell’abbigliamento e negli accessori che lo dipingono (pastrano lungo quasi fino ai piedi, orecchino pendente da pirata, una collana portata sul petto scoperto dalla camicia bianca) e ancora la corte con il Re di Napoli, profughi del Sud, arrivati dalle terre di Tunisi, che fu di Didone, rappresentata come un simpatico e divertente mix di parodiche caricature delle famiglie malavitose; infine plauso a Calibano, Trinculo e Stefano, posti al gradino più imo dell’umana scala, coloro che rappresentano tutti i vizi dell’uomo – la sete di ricchezza che si smarrisce nella sete del vino e dei piaceri – e, anche della natura.
Il racconto procede così tra incanti, prodigi, magie, risate, fino al toccante finale dove le fragilità umane, sempre in procinto di disfarsi, si sciolgono nella malinconia di Prospero che accetta, una volta svelati i suoi piani al gruppo di dispersi, ormai riuniti nella scena ultima, di ritornare al mondo reale, in patria, dove gli sarà riconosciuto nuovamente il titolo usurpatogli in passato.
A dare il saluto e il tocco magico al the end, non poteva che non essere Ariel, il quale, ormai reso libero dal padrone, dopo anni di servigi, con l’ultimo incanto si accommiata con la sua espressione stralunata e pura, per poi sparire definitivamente.
Federico Cirillo
13 marzo 2014