Recensione dello spettacolo Il sindaco del Rione Sanità in scena al Teatro Argentina dal 17 al 29 aprile 2018
Una Napoli buia e consumata dalla criminalità. Una casa a cui bastano un paio di infissi e un’inferriata per segnare il confine tra il “regno privato” di Don Antonio Barracano e gli abitanti del Rione Sanità. Un confine labile, visto il gran viavai di “gente per bene e gente carogna”, eppure ben marcato nelle coscienze di chi chiede giustizia al “Sindaco” del noto quartiere.
E in effetti l’ex boss Antonio Barracano (Francesco di Leva), supportato dal collaboratore e amico Fabio della Ragione (Giovanni Ludeno), non si tira mai indietro quando si tratta di stabilire chi ha torto e chi no e di nascondere alla Legge gli esiti delle sparatorie e dei regolamenti di conto all’ordine del giorno nella periferia di Napoli.
Come nel caso di Palummiello che, ferito ad una gamba da ‘o Nait, cerca protezione e aiuto proprio a casa di Don Antonio: una sorta di sacerdote laico che ogni giorno ascolta le versioni dei disperati (delle vittime e dei carnefici) e come il più giusto dei giudici emette la sentenza.
Ha inizio così il riadattamento del capolavoro di De Filippo secondo Mario Martone, in una Napoli da sempre divisa tra la faccia legalitaria e quella criminale, tra il bisogno perenne di giustizia e l’unica giustizia possibile: il fai da te. Ma è proprio nel “Niente di nuovo”, come canta il rapper Ralph P, autore delle musiche originali della pièce, che il regista napoletano introduce la novità.
A partire dalla scelta del protagonista, molto più giovane, energico e contemporaneo rispetto alla versione eduardiana. Del resto quella raccontata da Martone non è la Napoli degli anni Sessanta, ma la Napoli dei giorni nostri e dei ragazzi del NEST (Napoli Est Teatro) che, per sfuggire alla camorra, trasformano una palestra dismessa in uno spazio teatrale dove “denunciare” la malavita.
La scelta di puntare su un cast di giovani attori (gli attori storici del NEST) è essa stessa la prova di un sistema di valori in pieno fermento, tutt’altro che al crepuscolo.
Un’attualizzazione del testo che cala immediatamente lo spettatore nella Napoli d’oggi per recuperare e rafforzare il senso di denuncia sociale e politica onnipresente nelle opere di Eduardo. D'altronde, come spiega il regista, “il teatro è vivo quando s’interroga sulla realtà, se parla al proprio pubblico non solo osando sul piano formale ma anche agendo in una dimensione politica.” Così, in una Napoli in cui i boss sono giovanissimi “affiora un’umanità feroce, ambigua e dolente, dove il bene e il male si confrontano in ogni personaggio, dove le due città si scontrano in una partita senza vincitori.”
Emblema di tutto questo è il dottore Fabio della Ragione: lui vorrebbe tagliare i ponti con la criminalità e trasferirsi in America da suo fratello, ma per paura e vocazione sceglie sempre di restare e offrire aiuto e protezione a chi “non tiene santi e va da Don Antonio.” Non è un caso che sia proprio lui a rivendicare la verità sulla morte di Barracano e a preservarne l’eredità.
Don Antonio stesso se, da un lato, giustifica l’esistenza della malavita di cui fa parte, dall’altro, si sacrifica per salvare il ricco fornaio Arturo (Massimiliano Gallo) dalla furia omicida di Rafiluccio (Salvatore Presutto), il figlio diseredato.
Lo stesso Arturo, un lavoratore onesto, un uomo stimabile che si è costruito da solo la propria ricchezza, è parte di un sistema che, quando ti rifiuta, ti spinge a delinquere.
Un’ora e cinquanta di contraddizioni, in cui l’unico vincitore è il cast al completo che meravigliosamente rende omaggio a De Filippo.
Concetta Prencipe
23 aprile 2018