Recensione dello spettacolo Un capitano – Duecentomila chili sulle spalle in scena al Teatro Studio Uno dal 15 al 18 marzo 2018
Ritorno sulle amate pagine de La Platea, sia pur momentaneamente, a parlare di Teatro. L'occasione me la da, in una piovosa domenica di metà marzo, lo spettacolo Un Capitano – Duecentomila chili sulle spalle.
La storia non è nuova, insomma dall'Odissea di Omero ad oggi, sopratutto negli ultimi 25 anni, le storie di migrazione e relative peripezie sono all'ordine del giorno. Come sempre però c'è chi sta da una parte e chi da l'altra della barricata: Amr Abuorezk, il protagonista di questa storia, sta dalla parte dei sommersi e ovviamente vorrebbe emergere.
Ed è in questo piccolo dettaglio, in questo desiderio di riscatto umano e sociale, che sta la differenza che fa di una storia qualunque, che potrebbe scadere tranquillamente nella banalità del quotidiano, una storia unica che va oltre divenendo al contempo emblematica di un periodo storico, contemporanea perché la stiamo vivendo e universale in quanto nel suo dipanarsi racchiude l'eterna tragicommedia non di un uomo o di un popolo o di un'etnia ma dell'intera umanità. Ieri è toccato a Noi, oggi tocca a Loro, domani ritoccherà a Noi...la storia purtroppo ha un piccolo difetto innegabile, si ripete fin troppo spesso.
Una cosa colpisce della storia (reale) di questo ragazzo egiziano di poco più di 20 anni, la continua presenza del mare nella sua vita, a ribadire (e forse anche a sfatare un luogo comune) che essere egiziano non significa vivere tra la sabbia del deserto e le piramidi.
Un mare sempre prepotentemente presente dall'inizio alla fine del racconto, che vuoi o non vuoi, riferimenti testuali o metatestuali o no, ci trasporta in quella dimensione archetipale dell'inconscio, con tutto il suo ribollire di incubi e sogni, prima del protagonista e successivamente, quando accidentalmente diviene “Capitano”, di 144 persone come lui proiettate verso l'ignoto di un viaggio che scopriranno come andrà a finire, e così il pubblico in sala, solo (ri)vivendolo attraverso le parole di un giovane e sprovveduto pescatore che anche se alla fine di tutto sembra essergli andata male, 90 minuti e un goal (decisivo per la nazionale italiana nella finale dei Mondiali 2004) rimetteranno in gioco ogni cosa...e poi non andate a dire in giro che non esiste il Fato.
Un monologo interessante quello portato in scena da Asilo dei Lunatici per la regia di Eleonora Gusmano e l'interpretazione di Ivano Russo caratterizzato da una scenografia e mélange sonoro onirico e “marino”. Un aggettivo, quest'ultimo, che vuole sottolineare come tutto, a parte pochi episodi della messa in scena, sembra essere letteralmente sommerso dall'acqua. Anche se oggettivamente la scena si svolge sulla superficie del mare, soggettivamente è come se ogni cosa avvenisse sott'acqua. Una sensazione non proprio piacevole quella di una continua apnea, intervallata da breve riprese di fiato, ma che sicuramente rende fin troppo bene l'idea di quali sensazioni vuole trasmettere questo spettacolo al di là della storia narrata.
Fabio Montemurro
22 marzo 2018