Recensione dello spettacolo Un amore in altalena, andato in scena dal 2 al 4 marzo 2018 al Teatro Trastevere
Paolo Buglioni e Monica Lammardo interpretano due innamorati che fanno del loro incontro un confronto delle proprie fragilità. Jerry Ryan avvocato di carisma tenta di trovare fortuna professionale a New York, città dove incontra Gittel Mosca, donna che aspira a diventare ballerina. L’ attrazione tra i due sembra scaturire dalla voglia di essere amati, più che dalla voglia di amare.
I protagonisti si ritrovano a confessarsi le proprie mancanze, i propri dolori e le proprie paure e sperano di compensare ognuno di questi stati d’animo nel affidarsi all’altra persona. L’insicurezza professionale di Jerry e quella emotiva di Gittel sono causa di un rapporto vissuto come un’altalena dove la spinta dell’amore s’alterna tra il planare della passione e il lento dondolio, scaturito dalle paure che i personaggi vivono sotto il punto di vista esistenziale. Il bagaglio interiore che i personaggi si portano dentro s’intreccia continuamente all’interno della storia e comporta lo sviluppo di una storia d’amore che pianta i suoi piedi in terra scegliendo di farsi compagnia, dopo aver vissuto un amore che a precisi intervalli alterna l’innalzarsi e il precipitare verso un sentimento portato in scena dai personaggi in maniera cristallizzato; prezioso ma fragile.
Lo spettacolo tratto dal romanzo “Due in altalena” di William Gibson è portato in scena dall’emergente regista Matteo Fasanella, andato in scena anche a Stanze Segrete a Roma per la messa in scena del suo Cyrano di Rostand. In un amore in altalena, il regista sembra affidare l’introduzione e lo svolgimento della storia all’apparato scenografico e alla capacità degli attori di muoversi all’interno del testo.
La scelta della scenografia mobile, che ruotando cambia gli ambiente all’interno dei quali si muovono ed evolvono i personaggi, porta lo spettatore a visionare l’aspetto estetico dello spettacolo oltre che a seguire quello che gli attori provano. Se da un lato questo determina un ulteriore aspetto dello spettacolo, dall’altro corre il rischio di spostare sia l’attenzione dello spettatore che il significante drammaturgico in una visione, che ha come carattere quello dell’abbellimento. Quando ambedue gli attori sono in scena e la divisione scenografica gli mostra in due ambienti diversi, viene mostrato come la connessione dei piani d’ascolto tra gli attori viene leggermente isolata dalla scelta scenografica e dall’interpretazione delle azioni dei protagonisti. Ad amplificare la lieve dissolvenza di connessione del focus drammaturgico è la musica; dove l’accortezza della scelta dei brani, adatti a delimitare l’aspetto emotivo dei personaggi, contribuisce d’altro canto a mostrare un aspetto dello spettacolo che assume valore didascalico.
Invece il feedback emotivo che avviene tra i due attori e che s’innesca tra palco e platea giunge ad un proprio climax; quando le interpretazioni, precisa di Paolo Buglioni e quella enfatica di Monica Lammardo, si ritrovano una di fronte all’altra. In questa dinamica i personaggi di Jerry e Gittel sono portati dagli attori ad un livello massimo di coinvolgimento, capace di rendere metaforicamente l’empatia creata dall’altalena dell’amore vissuta dai due protagonisti.
Emiliano De Magistris
8 marzo 2018