Recensione dello spettacolo “Vincent Van Gogh – L’odore assordante del bianco”, in scena al Teatro Eliseo dal 13 Febbraio al 4 Marzo 2018
Van Gogh senza colori. Come immaginarlo senza il suo giallo cromo, senza il blu cobalto, il lapislazzulo, i suoi verdi, i suoi viola? E poi: Van Gogh e la follia, associazione necessaria. Due temi, un solo viaggio.
L’8 Maggio 1889 Vincent Van Gogh entra volontariamente nel sanatorio di Saint-Paul-de-Mausole a Saint-Rémy-de-Provence. Lo troviamo lì, all’apertura del sipario. Disteso sul pavimento, un pigiama bianco, fra pareti bianche, attorno medici e infermieri in camici di un ossessionante bianco.
Fuori i campi di grano, chiome d’alberi, fronde fiorite, i cieli densi di nubi o trapunti di stelle. Fuori un universo colorato e vibrante, percorso dalle onde di un turbinante campo magnetico. Fuori. O forse dentro. Dentro di lui.
La relazione tra colore e follia è il meandro oscuro e tortuoso in cui Stefano Massini si insinua con il suo testo. Partendo appunto da questo ossimoro, Van Gogh ed il bianco. L’isolamento, negazione del colore, come cura o inumana pena.
Da lì il drammaturgo toscano dipana il filo di un’indagine psicopatologica acuta e profonda. Dai primi dialoghi con il fratello Theo avanza un’ipotesi tanto realistica, quanto provocatoria: e se quel mondo cromaticamente rutilante non fosse stato reale? Se tutto fosse esistito solo nella mente di Vincent? Un universo mentale rinchiuso, imprigionato, dove ogni moto dell’animo è colore.
“Ho cercato di esprimere con il rosso e il verde le terribili passioni umane. La sala è rosso sangue e giallo opaco, un biliardo verde in mezzo, quattro lampade giallo limone a irradiazione arancione e verde. C´è dappertutto una lotta e un´antitesi dei più diversi verdi e rossi, nei piccoli personaggi di furfanti dormienti, nella sala triste e vuota, e del violetto contro il blu”. Questo scriveva Vincent a Theo (il quadro descritto è “Il caffè di notte”).
E allora la terapia, che solo un medico sensibile intuisce, non può essere altro che lasciar uscire quel fiume cromatico. Dipingere, dipingere, dipingere, un flusso continuo dalla corteccia cerebrale alla punta del pennello. Trasformare i fantasmi in immagini, gli impulsi in pennellate, la follia in arte.
Il testo di Massini è solido, asciutto nella scrittura, pregno di contenuto. Un’analisi attenta, competente, che però, in quanto tale, non sviluppa un filo narrativo. Di questa staticità, pur interrotta dall’accendersi di subitanee vibrazioni, è gravata la rappresentazione.
Ben sopperisce l’ottima interpretazione degli attori, in particolare di Alessandro Preziosi, capace, con voce aspra e ruvido piglio, di tenere il palco con personalità per l’intera durata di uno spettacolo senza interruzioni. Ottimo anche Francesco Biscione, che nella perfetta misura, trova spazio per il calore dell’empatia.
La suggestiva, essenziale scenografia di Marta Crisolini Malatesta, pareti neutre e scomposte, riporta in rilievo il “Campo di grano con corvi”, l’opera emblema dell’estremo limite del dolore esistenziale di Vincent. Non poteva essere una cura quella ricevuta a Saint-Paul, l’artista si suiciderà poco dopo esserne uscito. Ma nel manicomio di Saint-Rémy viene avviato per l’unica via che il destino aveva tracciato per lui. Una via che si perde là, dove il grano si tinge di giallo cromo, il cielo di blu cobalto, mentre i neri corvi finalmente volano via. Là dove il povero pazzo scompare e diventa per sempre Vincent Van Gogh.
Valter Chiappa
16 febbraio 2018