Recensione dello spettacolo Terra, andato in scena dal 9 al 19 dicembre al Teatro dei Documenti di Roma
Ciò che determina un percorso è quello che si vive in ogni singola tappa. Questo succede nello spettacolo “Terra”, dove, tappa dopo tappa, lo spettatore viene condotto alla scoperta del percorso terreno. Il primo appuntamento avviene quando s’incontra l’accompagnatore, il cicerone che invita gli spettatori al viaggio sulla terra. Nelle varie tappe si incontrano quadri che si animano fino a prendere vita e narrare come ognuno è vittima e carnefice sè stesso. Ogni personaggio rappresenta e racconta lo squallore che l’uomo subisce e impone.
Nell’itinerario incontriamo la pazzia, la follia, l’egocentrismo, la povertà materiale e quella dell’anima, la speranza, l’astuzia, la cattiveria. Tutto viene reso dal tormento e dalla disperazione raggiunti dai personaggi; in questo modo lo spettatore viene immerso se non nello stesso stato d’animo vissuto dall’attore, nella fragilità che sta vivendo il soggetto che subisce tutto ciò. La pazza, l’anoressica, il disabile, il ragazzo padre, la donna che non può avere figli e infine Don Giovanni, sono tutti oppressi da una vita che fa dell’umanità una schiavitù, ma di questa umanità loro stessi ne fanno parte e quindi ancora più doloroso diviene il rendersi schiavi di se stessi. Anche la cura a questa oppressione rappresentata dal medico, che oltre a tentare di conferire il valore della cura medica, tenta tramite i propri ideali di avvalorare anche la funzione pedagogica che il personaggio del medico vuole esprimere.
Ma questo è un tentativo che non fa altro che affondare nel fondo dell’ ipocrisia in cui il “ben pensare” e l’opportunismo è immerso. “ Il Caronte” che ci accompagna tappa dopo tappa, soffermandosi in ogni luogo dove avviene ogni singola scena, invita a fermarci a pensare su come l’inferno sia quello che si vive ogni giorno sulla terra. Il personaggio guida che accompagna lo spettatore diviene anche filtro di questa umanità che è costretta a riempirsi di merda per fronteggiare quella dalla quale è circondata.
Sicuramente lo spazio conferisce al carattere itinerante dello spettacolo l’aspetto tragico e controverso della vita, questo avviene non solo per la struttura del luogo ma anche per come quest’ultimo è caratterizzato. Mentre si scivola nelle varie stanze si è avvolti dal bianco, che è cosparso anche sui posti che formano la platea e permette di accomodare lo spettatore difronte all’oscurità di quello che assiste. La contrapposizione che si riferisce allo stare dello spettatore rispetto a quella dell’ essere dell’attore, fa del disagio vissuto da entrambi una chiave di interpretazione costruttiva per lo spettacolo. In questa profonda escursione è ben definito il lavoro registico e come questo sia consapevolmente strutturato sul lavoro degli attori.
Le scelte drammaturgiche della regista Anna Ceravolo definiscono la capacità dello spezio a rendere chiara la crudezza che si vuole esprimere ed inoltre si amalgamano all’interpretazione degli attori che pur vivendo drammi che corrodono gli animi, esprimono attraverso il suono pulito della parola l’atroce oscurità in cui l’individuo è condannato a vivere. Ad alzare i picchi dello spettacolo e a rendere chiaro di quanto siano spigolose le vicende umane è la funzionalità della cornice drammaturgica condotta dal gioco di luci di Paolo Orlandelli e dalla cura per i particolari della costumista Carla Ceravolo. Anche gli oggetti che ritroviamo durante il cammino sulla terra e che riguardano le scene precedenti, attribuiscono allo spettacolo un valore più veritiero e marcano l’importanza artigianale di tale lavoro.
In una riflessione sulla negatività di quanto si vive... lo spettacolo sembra voler proporre come questa riflessione passando attraverso l’uso degli oggetti che gli attori fanno, rendendo il valore simbolico come un’analisi per una soluzione catartica a questa negatività. L’oggetto insieme al gesto e alla parola divine simbolo e anziché rendersi carnefice del destino dell’uomo diventa uno strumento, grazie al quale si può se non emergere, attraversare questa via negativa in cui si è avvolti. A rendere il senso concreto di questa auspicabile via di uscita e a restituire una processo di consapevolezza favolistico nei riguardi di chi assiste allo spettacolo, è conferito anche dall’aura che esprime la struttura del Teatro dei Documenti, il quale rispecchia in tutti i suoi aspetti la piacevolezza di come il teatro si possa ancora respirare concretamente in questa città.
Emiliano De Magistris
20 dicembre 2017