Recensione dello spettacolo "Rumori fuori scena" andato in scena dal 12 al 23 dicembre 2017 al Teatro Vittoria
Una volta seduti in platea ci sembra di sapere esattamente cosa succederà, quasi senza sapere come. L’aspettativa si mischia alla curiosità e alla ricerca di trovare uno stato di rilassamento, che non vuole rinunciare all’attività energica scaturita dalla risata. Il divertimento che ne deriva non è inteso come attaccamento al genere teatrale che si assiste, né ad un narcisismo che si incontra tra espressione dell’attore e compiacimento dello spettatore. Tutto questo si discioglie nel momento in cui la genetica della comicità si manifesta attraverso i suoi compiti più ludici, che in questo caso sono quelli di giocare con una realtà che non può fare a meno di rinunciare a dare senso alla felicità della quale è composta.
L’impegno attribuito al mestiere del attore e il lavoro teatrale non viene svalorizzato, ma assume maggior importanza proprio perché in essi sono intrinsechi i paradossi della vita e la relatività che la compone: proprio a dimostrare come l’arte non possa fare a meno di astrarre e concretizzare allo stesso tempo. Ciò che avviene fuori scena non è né una copia né una metafora di quello che gli attori portano in scena, ma una manifestazione di come nel paradosso si possano cogliere gli aspetti della quotidianità, cosicché la dissonanza risulti un’assonanza. In questi termini l’aspetto comico dello spettacolo rende l’errore come un elemento adatto alla comprensione, che non riguarda solo le pratiche degli attori, ma anche la vita privata dei personaggi nel loro essere attori e persone; ovviamente l’equivoco che avviene in scena diviene per lo spettatore un elemento di riflessione. Tutto ciò fa sì che lo spettatore venga condotto ad un tipo di recezione attiva che gli riguarda nella sua vita quotidiana.
La divisione degli atti più, che riguardare la successione della narrazione storica, va ad inquadrare il campo ed il controcampo scenico, mostrandoci come anche gli avvenimenti fuori dalla scena riguardino la teatralità della vita, la quale è costituita da accadimenti fortuiti ma che non possono sottrarsi dall’ identità del personaggio. Dietro al perfetto montaggio scenico e drammaturgico l’aspetto che diviene rilevante è il punto di riflessione che lo spettacolo propone, che riguarda come l’equivoco e l’imprevisto sia nell’arte che nella vita siano fondamentali per sfuggire ad una schematicità che impoverisce la ricchezza emozionali degli eventi. Ciò che pensiamo sia finzione si mischia con gli eventi della realtà, non creando paradossi ma unica amalgama che rientra pienamente nella struttura dialettica, vissuta sia dagli individui nella vita fuori scena che dagli spettatori nel teatro.
Molto interessante come la “confusione” scenica rientri invece in una concezione geometrica della struttura dello spettacolo, intesa come elemento fantasioso che contraddistingue l’arte. Il caos generato dalla ripetibilità degli eventi, osservati dai diversi punti di vista attraverso i vari atti, artisticamente è composto in maniera impeccabile dal lavoro artigianale degli attori. Oltre a come gli attori scolpiscono personalmente gli elementi comici si nota come l’intera drammaturgia abbia queste caratteristiche. Tutte le entrate in scena degli attori determinano la comicità in un tempo dispari preciso. Ovvero tutti gli eventi presentati in coppia necessitano dell’ intromissione che un terzo attore propone, scardinando in questo il moto rettilineo degli avvenimenti e contribuendo alla evoluzione delle caratteristiche che riguardano lo stile comico, che in questo caso non rimane solo un diletto ma anche materia fondamentale per uscire al di fuori dal recinto del consueto svolgimento della storia.
Il tempo dispari suonato dagli attori ovviamente riguarda anche il singolo. Sia quando è da solo in scena che quando è in gruppo, l’attore affida al personaggio una forma di protagonismo lontana dal narcisismo scenico e avvicinabile invece ai caratteri paradossali delle situazioni che l’ individuo vive, i quali portati all’ estremo dallo stile teatrale, rivelano i profondi punti di riflessione che l’umorismo propone attraverso una concezione esistenzialista della vita. In questo s’avverte il punto di osservazione sulla vita che l’humor inglese propone, infatti lo spettacolo è ispirato alla medesima opera del 1982 dell’inglese Micheal Frayn.
Davvero sorprendente come il cast di “rumori fuori scena” riesca a far capire come sia fondamentale la funzione che ogni attore rende alla resa dello spettacolo rispettando il proprio ruolo, così da potersi allacciare con il ruolo degli altri attori all’interno della creazione della storia. Partendo “dalla prima attrice” Viviana Toniolo, che rende a trecentosessanta gradi l’importanza artigianale di un attore e come questa qualità sia fondamentale a diluirsi e a sostenere la qualità artistica degli altri attori, fino “all’attrice giovane” Viviana Picariello; che nell’interpretare il suo personaggio fa della disponibilità attoriale un elemento veramente necessario alla struttura dello spettacolo. Tutto questo ricade nello stato d’animo del pubblico, che a causa della notorietà dello spettacolo sa che si divertirà in maniera costruttiva. Quello spettatore che allo stesso tempo rimane ogni volta, consapevolmente, colto di sorpresa davanti alle capacità degli attori che meglio non potrebbero suonare la vita del personaggio interpretato. Non a caso Rumori fuori scena raccoglie gli applausi degli astanti da trentaquattro anni.
Emiliano De Magistris
18 dicembre 2017