Recensione dello spettacolo Re Lear, in scena al teatro Argentina dal 21 novembre al 10 dicembre 2017
Re Lear è la storia di un re che decide di spartire il proprio regno tra le figlie dandone la parte più grande a quella che si prodigherà con maggiore affezione in una dichiarazione d'amore filiale.
Re Lear è la storia di un Re che decide di ritirarsi e spera di godersi ricchezze e feste confidando nell’ospitalità delle proprie figlie e che verrà invece inghiottito in vortice di disperazione che lo porterà alla follia.
Re Lear è la storia di un uomo che vede frantumarsi i legami familiari e trasformarsi in legacci che gli stringeranno il collo fino a soffocarlo e a portarlo alla morte.
Re Lear è la storia di un regno, di legami politici, accordi finanziari, guerre.
Re Lear è la storia di una famiglia divisa e distrutta dall’avidità e dall’ambizione che annullano e stuprano i legami di sangue.
Lear è il Re pieno di se stesso che domina su tutti. Egli spartisce il proprio regno tra le figlie Goneril e Regan che, ambiziose e venali oltre ogni misura, lo adulano ipocritamente per poi escluderlo crudelmente dalla loro vita, dalla loro casa e da un affetto domestico.
Cordelia è la figlia più piccola che, potendo promettere solo di amare come il suo ruolo richiede, niente di più e niente di meno, viene allontanata e diseredata.
Goneril e Regan priveranno il padre di ogni amore, di ogni rispetto, negandogli sostegno economico e affettivo, trattandolo come un povero vecchio e pazzo.
Pazzo diventerà veramente Lear, cominciando a girare per il regno, in preda a deliri sempre più violenti, accompagnato da un pazzo per finta e sostenuto dalla fedele amicizia di Gloucester, altro uomo e padre, ferito e tradito.
Giorgio Barberio Corsetti con il suo adattamento e regia ha voluto portare Lear ai nostri giorni, cercando di creare un ponte tra passato e presente attraverso un linguaggio moderno e l’impiego della tecnologia.
La scena si apre con una grande festa stile “La grande bellezza” con tanto di ripresa video fatta in diretta sul palco e proiettata su un grande schermo sospeso.
Corsetti porta sul palco temi antichi, ma di grande attualità, in una combinazione nuova e insolita di linguaggi e visioni che, sebbene all’inizio stupiscano per l’effetto, non sono poi qualcosa di così sbalorditivo.
L’impatto è certamente forte: la festa, le proiezioni, gli effetti visivi e sonori dal sapore e dall’effetto metallici riempiono il grande spazio del palco di immagini e suoni che riverberano dalla platea alla galleria.
Il linguaggio è moderno, sì, ma non aggiunge nulla al testo, anzi toglie, defraudando il codice shakespeariano della sua bellezza e della sua poeticità anche drammatica.
Questo Re Lear si allontana dalla matrice greca della tragedia a cui tanto Shakespeare era legato, per recuperarla solo in alcuni momenti del secondo atto, che sono poi gli unici in cui lo spettacolo funziona.
Re Lear di Corsetti è uno spettacolo di Shakespeare dove Shakespeare quasi non esiste. Non ne arriva il senso intimo delle parole, del messaggio, resta celata da altre tematiche quella linea del destino che conduce le esistenze umane e ne regola le relazioni.
E’, questo, prima di tutto uno spettacolo politico, una storia di potere, di successioni, divisioni territoriali, complotti, tranelli e guerre.
Meno marcato è l’elemento del riscatto del mondo ereditato dai padri ad opera dei figli, essendo, soprattutto la prima parte, più concentrata sul potere e sull’usurpazione dello stesso.
E’ laddove, nella seconda parte, è più forte l’elemento umano e le relazioni umane si fanno più drammatiche che lo spettacolo prende vita emotivamente: i padri si disperano nel pentimento, alcuni figli tramano contro i padri, altri li aiutano, li consolano e gli donano la lucidità perduta.
E’ nel turbinio di queste umanità che si ritrova un po’ di quel Shakespeare che è stato messo da parte nel primo atto e gli uomini dimostrano la propria fragilità, miseria e abbandono al fato.
Alcuni personaggi sono decisamente fiacchi, altri eccessivamente esasperati. Le interpretazioni, quelle belle, restano fini a se stesse, scollate dal testo e dal contesto.
Goneril, interpretata dalla bravissima Francesca Ciocchetti, e Regan, interpretata da Sara Putignano, grande attrice che qui appare un po’ distaccata, sono cattive e avide; Cordelia, Alice Giroldini, è dimessa, quasi rassegnata; il Duca di Albany, Mariano Pirrello, è terribilmente e fastidiosamente mellifluo per gran parte dello spettacolo per poi tirare fuori un po’di orgoglio e coraggio solo alla fine; Edmund, interpretato da un bravissimo Francesco Villano quasi perfettamente centrato, è un uomo crudele, seduttore e privo di ogni rimorso, ma avrebbe potuto dare di più se avesse avuto controparti più forti e decise.
Disorienta la prova di Gabriele Portoghese: privo di ogni piglio e carattere nei panni di Edgar, è sorprendente in quelli di Tom, il finto pazzo.
Bellissima, invece, la prova attoriale di Andrea Di Casa nei panni del Matto, anche se il personaggio perde quella sua inconsistenza materiale che lo faceva coscienza e alter ego di Lear divenendo un altro protagonista a tutti gli effetti.
Arrivando ai due protagonisti principali della vicenda, un re e un nobile, due uomini, due padri traditi, non si può negare che l’interpretazione sia di grande spessore. Qui non si mette in dubbio il valore artistico di due grandi attori come Ennio Fantastichini (Re Lear) e Michele di Mauro (Gloucester).
Quello che nuoce gravemente nello specifico ai loro personaggi, ma in generale anche a tutti gli altri, è la regia, che punta a stupire con effetti visivi e sonori e accenti esasperati, seppellendo la poesia, il cuore e le emozioni.
Shakespeare viene messo da parte, occultato; Re Lear si confonde con gli altri personaggi.
La scenografia realizza l’intenzione di stupire di cui si è detto sopra: divani che scendono dall’alto, tavolo e scale metalliche stilizzate in un continuo andirivieni che alla fine risulta fastidioso e distraente, rendendo la narrazione frammentata, episodica, insieme agli eserciti che si scontrano come in una guerra di soldatini. Un enorme tela cala dall’alto coprendo il palco per la sua lunghezza e da un taglio centrale alla Fontana entrano ed escono Lear e gli altri personaggi. Che poi si proiettino sulla tela, in alto, i volti di Goneril e Regan e, sotto, gambe di donna nude e aperte e dalla fessura nella tela all’altezza precisa dell’organo femminile entrino ed escano i personaggi non restituisce alcun senso né valore.
I costumi sono belli, moderni, dai colori decisi e abbinati a coppie. Bellissimo il completo di velluto rosso damascato del potente Re Lear dell’inizio in contrapposizione con la sua quasi nudità alla fine.
Quella del 21 novembre è stata una prima sicuramente affollata, ma che non ha visto il teatro pieno in ogni ordine di posto, anzi, mano a mano che lo spettacolo proseguiva, diversi spettatori hanno abbandonato il campo.
Pochi e fiacchi gli applausi durante la rappresentazione e non troppo entusiasmo alla fine della stessa.
Flaminio Boni
23 novembre 2017
informazioni
Re Lear
di William Shakespeare
traduzione Cesare Garboli
regia e adattamento Giorgio Barberio Corsetti
con Ennio Fantastichini
e Michele Di Mauro, Roberto Rustioni, Francesco Villano, Francesca Ciocchetti, Sara Putignano
Alice Giroldini, Mariano Pirrello, Pierluigi Corallo, Gabriele Portoghese, Andrea Di Casa
Antonio Bannò, Zoe Zolferino
scene e costumi Francesco Esposito
luci Gianluca Cappelletti
musiche composte e eseguite dal vivo Luca Nostro
ideazione e realizzazione video Igor Renzetti e Lorenzo Bruno
assistente alla regia Giacomo Bisordi