Recensione dello spettacolo Le città invisibili in scena al Teatro Sala Uno di Roma dall’11 al 16 ottobre.
“(...) è inutile stabilire se Zenobia sia da classificare tra le città felici o tra quelle infelici. Non è in queste due specie che ha senso dividere la città, ma in altre due: quelle che continuano attraverso gli anni e le mutazioni a dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i desideri o riescono a cancellare la città o ne sono cancellati”.
E’ così che l’ambasciatore veneziano Marco Polo narra a Kublai Kan, imperatore del Catai, delle città che ha visitato nel suo regno. Tutte le città che Marco Polo cita e di cui descrive minuziosamente la vita, l’architettura e i popoli, sembrano uscite da una storia fantastica, tanto che lo stesso Kublai Kan stenta a credere alle sue orecchie e, proprio come lui, anche lo spettatore vive il resoconto dell’ambasciatore come un racconto incredibile poiché queste città, teoricamente reali, sembrano effettivamente il frutto della fantasia di Marco Polo.
Eufemia, Despina, Zenobia, Leonia, Diomira, e le altre città ‘invisibili’ citate nello spettacolo, ideato e diretto da Ivan Vincenzo Cozzi, non sono altro che il simbolo della complessità e del disordine che attanaglia le città reali: non per niente l’intenzione di Calvino è quella di raccontare “l’inferno che abitiamo tutti i giorni”.
Nonostante ciò, lo splendore di queste città invisibili, narrato da un Marco Polo che per l’occasione è diventato trino ed è interpretato dalle brave Brunella Petrini, Alessandra Aulicino e Lidia Miceli, cattura l’attenzione e la mente dello spettatore, che non può fare a meno di farsi ammaliare dal fascino esotico, dalle atmosfere misteriose, dai fasti ora antichi ora futuribili, di tutte queste città che fanno parte del grande regno del Kan, interpretato da un notevole Alessandro Vantini, e delle cui meraviglie e imperfezioni l’imperatore stesso sembra essere ignaro.
Il viaggio immaginario del veneziano attraverso diverse città, tutte dai nomi femminili, può essere visto come il percorso di vita che ciascuno di noi compie: la città è per l’uomo il luogo per eccellenza della memoria e dei desideri, eppure l’uomo tratta male le città. Se è diventato difficile vivere in città, è proprio perchè questa ha iniziato ad assomigliare sempre più e a diventare effettivamente il prodotto diretto delle paure e delle malattie dell’animo umano: “Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra”.
Ecco, quindi, che una domanda sorge spontanea: cosa dovrebbe rappresentare la città per l’uomo di oggi? Probabilmente, a fornire la risposta è l’autore stesso: “Anche le città credono d'essere opera della mente o del caso, ma né l'una né l'altro bastano a tener su le loro mura. D'una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.
Ben riuscita questa trasposizione di “Le città invisibili” di Italo Calvino: indovinata la scelta di scomporre il personaggio di Marco Polo in tre anime diverse, tutte femminili perché, come ha affermato lo stesso regista: “la disponibilità al viaggio e l'apertura generosa alle diversità culturali fanno parte della sensibilità femminile".
Le atmosfere magiche di ogni città poi, ricostruite dalla scenografia di Cristiano Cascelli, sono state ancora più scandite dalle musiche originali composte da Tito Rinesi che, grazie a un sapiente lavoro di ricerca sul testo, ha saputo tradurre in musica i suoni e i rumori tipici delle città, dal mercato alle carovane, dai cori classici alle sonorità contemporanee che fanno da sottofondo ai dialoghi tra Marco Polo e il Kan fino al canto dei monaci tibetani, tutto concorre alla descrizione di queste città invisibili.
Diana Della Mura
15/10/2016