Recensione dello spettacolo Nasci, Simona in scena al Teatro Studio Uno dal 20 al 23 ottobre 2016
Allo Studio Uno è in fermento la nuova stagione teatrale. Fra le proposte teatrali va in scena Nasci, Simona. monologo sulla percezione, sulla condizione umana, su altri linguaggi.
Di pochi giorni fa è la notizia che ha visto coinvolto l’Istituto Montessori di Roma. Un caso di non assistenza ha smosso un atto di solidarietà da parte degli alunni e dei genitori nei confronti di Cristiano. Se Cristiano non può ricevere assistenza, a causa dei tagli verso le maestre di sostegno, a causa della cattiva gestione dei fondi che non è un’utopica critica, ma una concreta realtà, e deve uscire due ore prima da scuola per tal motivo “allora usciamo tutti”. In concomitanza all’iniziativa mossa in questi giorni troviamo un nesso, non calcolato, con lo spettacolo che va in scena nel ricco microcosmo di Torpignattara. Si è sempre in difficoltà quando bisogna trovare parole per descrivere condizioni che comunemente vengono definite come “diverse”. Già la stessa parola che dovrebbe essere impiegata solo con accezione positiva, porta appresso, in questa società, uno strascico che disturba. Come se non si potesse comprendere appieno che esistono varie forme di essere, vari linguaggi e diversi, appunto, modi di comunicare. “La Simona” è una bambina che si affaccia su di un palcoscenico vuoto, semplice, occupato solo da una sedia immobile e da una palla gonfiabile che attua il dinamismo. L’attrice, Claudia Manini, è impegnata a ricreare mimiche e movimenti, a raccontare la storia attraverso la voce di Simona, una bambina che vive una condizione differente rispetto ad altre sue coetanee. Simona viene derisa, reagisce picchiando, Simona vede i genitori insoddisfatti e tristi, vorrebbe essere diversa, così da non far soffrire più mamma e papà, vorrebbe essere come la Zafira, bella, sorridente, buona, non come le altre bambine che la scherniscono. Con Zafira pare che qualcosa può davvero cambiare. “Anche Simona vuole lasciare il corpo di bruco brutto e diventare diversa dalla Simona di prima. Il babbo e la mamma non lo sanno che gli scarabei prima sono bruchi bavosi e che una luna diventano belli. Perciò sono sempre tristi perché Simona è ancora un bruco. Però Zafira sì che lo sa. La Zafira sa come cambiare perché tutte le cose belle prima sono un bruco con la pelle bavosa”. Simona ha un mondo di tanti amici colorati, è attratta dal bruco e dallo scarabeo e come essi vorrebbe evolvere, trasformarsi e poi avere una corazza lucente, luminosa. Simona inoltre sa che le vengono dette bugie, così per colmare un qualche difetto e renderle la vita più semplice (almeno secondo chi le racconta le bugie). Ma Simona percepisce, avverte la tristezza, in questo caso, della normalizzazione, di ciò che pare necessario mostrare per essere veramente accettati. Con delicatezza sognante veniamo portati all’interno di una storia, dove si vuole far scorgere un parere altro, il parere di chi vive l’altro. Portare monologhi in scena, poi, è sempre una sfida e per quanto delicato possa essere la formula di proiezione delle sensazioni altrui, lo spettacolo resta con qualche nodo che non si scioglie. Gli interrogativi che la trama pone, creati apposta o meno, non generano armonia totale nell’evoluzione della comprensione da parte del pubblico. Si creano dei retroscena nell’intreccio e sono ostici da percepire, da renderli un po’ nostri e certi attimi meglio curati avrebbero ottenuto, forse, più effetto. Certi, comunque, di un lavoro che può migliorare l’impatto di comunicazione noi restiamo con una domanda taciuta: nasce Simona dentro lo spettacolo? Nasce?
Erika Cofone
24/10/2016